Ogni anno nel mondo si bruciano otto miliardi di tonnellate di idrocarburi, la maggior parte delle quali con processi altamente inquinanti. Negli ultimi mesi in Italia, tra i rincari delle benzine e le domeniche a piedi, il problema dell’inquinamento atmosferico è diventato assolutamente centrale. La soluzione ecologica ideale potrebbe essere l’idrogeno puro: usato come combustibile, infatti, produce energia e, come scarto, nient’altro che acqua. Oggi però questo gas si estrae dagli idrocarburi con processi molto dispendiosi e pericolosi a causa della sua alta infiammabilità. Ma la sfida di ottenere un carburante pulito è anche di natura economica. Un solo esempio: nel 2004 entrerà infatti in vigore in California una legge che obbligherà i produttori di automobili a mettere sul mercato almeno il cinque per cento di veicoli non inquinanti. E iniziative analoghe sono previste in Europa.
E’ possibile usare l’idrogeno contenuto negli idrocarburi – come propano, butano o metano – per produrre energia pulita? In natura, questo processo biochimico avviene comunemente, ma nessuno era riuscito a imitarlo. Ora però, dalle pagine di Nature, Seungdoo Park, John Vohs e Raymond Gorte dell’Università di Pennsylvania annunciano di aver risolto il problema. I ricercatori americani hanno infatti costruito una cella a combustibile che produce energia elettrica bruciando l’idrogeno contenuto negli idrocarburi ossidati grazie a un catalizzatore. Riproducendo il meccanismo naturale.
Le celle a combustibile funzionano un po’ come una pila, salvo che vengono alimentate con un propellente. Nel caso ideale, appunto, l’idrogeno. La cella di Park e colleghi assomiglia a un piccolo cubo diviso in tre strati: la parte superiore – l’anodo – contiene il propellente (metano), al centro c’è una membrana porosa fatta di materiali ceramici molto duri, mentre quella inferiore – il catodo – raccoglie la sostanza ossidante. Sia nell’anodo che nel catodo si innescano delle reazioni che producono da una parte ioni negativi e dall’altra ioni positivi. Ora, per bilanciare le reazioni chimiche, gli ioni si diffondono lungo la membrana mentre gli elettroni viaggiano dall’anodo al catodo lungo il percorso esterno, creando così corrente elettrica. Il cuore della cella di Park è proprio la membrana che riesce a estrarre l’idrogeno contenuto nel metano.
Gli scienziati dell’Università della Pennsylvania hanno concluso con successo il processo di ossidazione diretta soltanto sul metano. Il prossimo passo è adattare le caratteristiche della membrana elettrolitica anche ad altri idrocarburi come propano e butano, o ad alcuni composti aromatici come il toluene, contenuto nei più comuni carburanti. Perfezionando il controllo delle reazioni all’interno della cella si potrà infatti ottenere un’elevata efficienza di reazione e al tempo stesso eliminare i residui nocivi per l’uomo, che oltretutto danneggiano il catalizzatore.
Uno dei problemi che restano da risolvere è che la cella dei ricercatori americani funziona a temnperature comprese tra 700 e 800 °C circa. Ma si pensa già a sfruttare altre sostanze, come l’acido formico o il metanolo, che permetterebbero di alimentare piccole batterie a bassa temperatura e sarebbero alimentatori ideali per computer portatili e telefonini. L’obiettivo più importante è però riuscire ad alimentare la cella a idrogeno con le benzine e il gasolio diesel attualmente utilizzati nei motori a scoppio, anche in considerazione del mercato che si aprirà da qui a pochi anni. Vohs e Gorte hanno dunque poco tempo per risolvere i problemi collegati alla loro scoperta, tra cui l’abbassamento dei costi della membrana elettrolitica e la progettazione di nuovi convertitori e accumulatori dell’energia prodotta con la nuova cella. Saranno questi gli ultimi ostacoli verso un futuro a emissioni zero.