Al Cern di Ginevra si stanno annunciando gli ultimi dati sul bosone di Higgs (qui la diretta Web). Gli esperimenti Cms e Atlas hanno rilevato una nuova particella, compatibile con le caratteristiche del bosone. Ecco tutto quello che si sapeva finora sul conto della particella più famosa di tutti i tempi, protagonista dell’ International Conference on High Energy Physics (Ichep) in corso da oggi a Melbourne (Australia).
Che cos’è?
Il bosone di Higgs è la particella che (in teoria) conferisce la massa a tutte le altre particelle e, di conseguenza, a tutta la materia dell’Universo visibile. Il suo nome si deve a Peter Higgs, uno dei fisici che nei primi anni Sessanta hanno proposto il meccanismo grazie al quale avverrebbe questo processo. Secondo la teoria, è possibile immaginare un campo di Higgs che permea lo Spazio, pieno di questi bosoni. Come i fotoni trasferiscono energia alle particelle che incontrano, così i bosoni di Higgs sarebbero vettori di massa. Le varie particelle elementari attrarrebbero più o meno bosoni di Higgs, “mettendo su” più o meno massa.
Perché la chiamano “Particella di Dio”?
È per un’astuta mossa del Nobel Leon Lederman che il bosone di Higgs è soprannominato in questo modo dalla fine degli anni Ottanta. A quel tempo, Lederman era direttore del Fermilab di Batavia e sperava di ottenere i finanziamenti per costruire in Texas l’enorme acceleratore Superconducting Super Collider (mai costruito). Un nome come particella di Dio, infatti, poteva ammorbidire i deputati del Congresso. Leggenda vuole, poi, che il suo libro, pubblicato nel 1994, si dovesse intitolare, in realtà,The Goddamn Particle (la particella maledetta), e che l’editore decise di togliere damn.
Perché è tanto ricercato?
Perché è l’unica particella prevista dal Modello Standard (una delle teorie, al momento la più accreditata, che riesce a spiegare il comportamento delle particelle elementari dell’Universo visibile e alcune delle forze grazie alle quali esse interagiscono), a non essere ancora stata osservata. Se esiste, sarà la conferma di come pensiamo che funzionino alcune cose nell’Universo visibile. Se non esiste, vuol dire che da qualche parte c’è un errore: dovremo prendere in considerazioni altri modelli, formulati dai fisici teorici come estensioni del Modello Standard, e prepararci a una fisica nuova, tutta da scoprire.
Come si cerca?
Lanciando fasci di protoni ad altissima energia all’interno degli acceleratori di particelle (come il Large Hadron Collider, Lhc) e facendoli scontrare. Dalle collisioni si generano molte particelle elementari (leptoni, quark, bosoni W e Z, ecc), con caratteristiche energetiche note. Lì in mezzo potrebbe formarsi anche l’Higgs. Nel marasma di dati che escono dagli acceleratori gli scienziati cercano quello non previsto: per esempio un numero troppo alto di collisioni in corrispondenza di un certo intervallo di energia compatibile con quelli previsti per l’elusiva particella.
Perché è così difficile osservarlo?
Essendo poco stabile, l’Higgs decade quasi immediatamente, quindi non si può sperare di osservarlo per caso nell’Universo. Per lo stesso motivo – sempre che esista – non può essere osservato direttamente nell’enorme mucchio di particelle prodotte a ogni collisione nell’acceleratore, ma bisogna guardare ai suoi prodotti di decadimento. Le particelle cui dà luogo, però, possono formarsi in molti modi diversi.
Cosa è stato trovato finora?
Una traccia. In corrispondenza del valore di 125 gigaelettronvolt (GeV), due gruppi dell’Lhc (le collaborazioni Atlas e Cms), indipendentemente, hanno osservato, lo scorso dicembre, un eccesso di segnali. E 125 GeV è uno di quei valori compatibili con l’Higgs. Se il valore sarà confermato, significa che il bosone di Higgs ha una massa pari a 130 volte quella di un protone (in base alla relazione E=mc²). Anche i dati del Tevatron di Batavia, diffusi lo scorso marzo, sono in accordo con quelli dell’Lhc.
Il picco di segnali, però, potrebbe anche essere un falso positivo: un errore o semplicemente un caso. O anche, per ipotesi, la traccia di una particella completamente diversa da quella immaginata. Il meccanismo di Higgs non predice la massa del bosone, ma dà un range di masse possibili; i vari esperimenti condotti finora hanno escluso molti valori e rimane plausibile solo il range 114-141 GeV.
Come si passa da traccia a prova?
Gli scienziati misurano la significatività statistica, cioè la probabilità che quel picco a 125 gigaelettronvolt sia solo frutto del caso, e non dovuto alla reale formazione del bosone di Higgs. Si parla di sigma: per ora siamo a 3 sigma e significa che questa probabilità è dello 0,13 per cento. Bisogna arrivare almeno a 5 sigma (0,000028 per cento) per trasformare l’indizio in scoperta. Il che, in soldoni, vuol dire avere moltissimi dati a disposizione che indicano tutti la stessa cosa.
Cos’è il Modello Standard?
È una teoria, con rispettivo modello matematico, che spiega il comportamento delle 12 particelle elementari finora predette e osservate. Si tratta di sei tipi di quark e sei di leptoni (tra cui l’elettrone e il neutrino), più le particelle mediatrici di forza: il fotone, mediatore dell’interazione elettromagnetica, i bosoni W e Z, che mediano la forza debole; i gluoni, che mediano la forza forte. Come si legge sul sito del Cern: “Ad oggi, essenzialmente tutte le verifiche sperimentali del Modello Standard si sono dimostrate in accordo con le previsioni; nonostante ciò, il Modello Standard non può considerarsi una teoria completa delle interazioni fondamentali, dal momento che non include una descrizione della gravità e non è compatibile con la relatività generale”. Il bosone di Higgs colmerebbe questa lacuna, spiegando l’origine della massa.
Dopo l’Higgs…
Ci sono diversi possibili scenari. Se un bosone di Higgs esiste, potrebbe essere diverso da quello previsto. Oppure potrebbe venir fuori che la particella, così come se la immaginano i fisici, non esiste. Allora si guarderà oltre il Modello Standard e bisognerà considerare le altre teorie. Come quella della Supersimmetria, che prende in considerazione molte strane particelle non previste, compresi diversi tipi di bosoni di Higgs. Ogni volta che sentiremo parlare di un picco non atteso presso un acceleratore di particelle, potrebbe trattarsi di un nuovo primo indizio.
via wired.it
Credit immagine a poluz
Credit per il video: PhD Comics
Articolo modificato il 4 luglio alle ore 10,30