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Il gusto amaro del giudizio

di
Martina Saporiti

Bere una bibita dal gusto amaro non solo ci fa storcere il naso, ma ci rende anche più intransigenti nei confronti degli altri. A svelarlo, sulle pagine di Psychological Science, uno studio condotto da Kendall Eskine e i suoi colleghi della City University of New York, Usa, secondo il quale la percezione del gusto influenza la capacità di giudicare persone e azioni: un sapore amaro renderebbe più severi i nostri giudizi morali.

L’idea che il disgusto “fisico” sia in qualche modo legato al disgusto “morale” non è nuova alla scienza. Uno degli studi più interessanti a riguardo aveva dimostrato che mangiare un cibo dal sapore amaro ed essere testimoni di azioni ingiuste causavano, nei muscoli della faccia di una persona, lo stesso tipo di risposta motoria: storcere il naso e sollevare le labbra. Quasi a testimoniare una convergenza evolutiva nel modo in cui l’organismo risponde a stimoli spiacevoli, siano essi sensoriali o morali. Il nuovo studio indaga la questione in modo più diretto, e sembra fornire prove ancora più convincenti a sostegno di questa idea.

Per farlo i ricercatori newyorchesi hanno sottoposto a 57 volontari alcune domande, come per esempio: Come giudicare un uomo che mangia la carne del suo defunto cane? E cosa pensare di una relazione tra cugini di secondo grado? A ognuno di questi comportamenti moralmente discutibili i partecipanti dovevano assegnare un punteggio in una scala da 1 a 100. Prima e durante l’esperimento, ai partecipanti veniva servito da bere o una bevanda amara o un succo dolce o, al gruppo di controllo, semplice acqua. Analizzando le risposte, i ricercatori hanno osservato che i punteggi espressi da chi aveva ricevuto una bibita amara erano più alti in media del 27% rispetto a quelli assegnati dagli altri, e quindi i comportamenti erano giudicati più negativamente. Inoltre, è emerso anche che la percezione del gusto amaro influenzava maggiormente i giudizi delle persone con idee politiche conservatrici.

Anche se lo studio non indaga sui meccanismi di questa sovrapposizione “sensoriale-cognitiva” e non tiene conto in modo rigoroso variabili come il gusto personale o l’indole della persona, solleva il dubbio che le abitudini alimentari possano influenzare i valori morali di una società.

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