Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Tunisia. E ancora Croazia, Grecia, Portogallo, Spagna. Tutto il Mediterraneo, insomma, rappresentato al meeting “Per un medico euro-mediterraneo, armonizzare le diversità”, organizzato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo) il 21 ottobre a Genova. I rappresentanti degli Ordini e delle Associazioni professionali si incontreranno per continuare il cammino iniziato a Sanremo lo scorso anno, quando medici provenienti da tutta Europa avevano discusso dell’importanza di trovare una base deontologica comune. E poi ancora ripreso a Palermo, dove si è svolta la prima riunione con i rappresentanti del mondo del Maghreb. Quest’anno, in momento politico così delicato per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, la Federazione ha deciso di scommettere ancora una volta sul dialogo. Ne abbiamo parlato con Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo.
Professor Bianco, cosa vi ha spinto a mettere intorno a un tavolo medici provenienti da paesi così diversi, a volte anche in conflitto fra loro?
“Si tratta di proseguire il lavoro che fin qui abbiamo fatto, con gli incontri precedenti sulla figura del medico europeo. Non possiamo ignorare i rapporti di vicinanza con i paesi del Maghreb, anche perché a livello europeo la connessione di rapporti stabili con queste nazioni viene incentivato. Spesso, però, mancano i riferimenti professionali per poter portare avanti i progetti. Una difficoltà che ci è stata segnalata anche dal Ministero della Salute”.
Come si può risolvere questo problema?
“Prima di tutto con la creazione di una rete stabile di riferimenti, di professionisti che si conoscono e che dialogano. Questo è il nostro primo obiettivo e l’incontro di Genova è il primo passo in questo senso. Ma poi dobbiamo creare un osservatorio stabile che conduca valutazioni epidemiologiche, che monitori la diffusione di alcune malattie, che coordini i centri di riferimento nel Mediterraneo su alcune patologie ad alta specialità. In questo modo sarà possibile collaborare alla formazione di medici e operatori sanitari, portare l’esperienza degli Stati europei negli ospedali dell’Africa del Nord. Il tutto grazie all’aiuto della tecnologia che ci permette, per esempio con la telemedicina, di organizzare corsi di formazione a distanza o di prestare consulenze da una parte all’altra del Mediterraneo”.
Questo flusso di informazioni e collaborazioni si svilupperà in una sola direzione o c’è anche una reciprocità?
“Assolutamente. Il confronto e il dialogo con i medici dei paesi del Maghreb servono anche a noi; per esempio per conoscere meglio malattie che nel corso dei loro studi i nostri medici hanno affrontato solo marginalmente, ma che in quelle realtà sono all’ordine del giorno. E che diventano di attualità anche nella nostra società sempre più multietnica. Dal punto di vista bioetico, poi, è davvero importante cominciare a confrontarsi su temi sensibili come l’inizio della vita, la sua salvaguardia, il rispetto delle volontà, l’accanimento terapeutico. La mia idea è che, più che nelle leggi, il medico possa trovare le risposte nel dialogo con il paziente. Per farlo però in rapporto medico-paziente deve essere comprensivo, il professionista deve comprendere cioè anche la cultura di chi gli sta davanti e non limitarsi alla diagnosi o elargizione della cura”.