Il mestiere della libertà

    Pietro Raitano (a cura di)
    Il mestiere della libertà. Dai biscotti alla moda, le storie straordinarie dei prodotti “made in carcere”
    Altreconomia Edizioni 2011, pp. 192, 14,50 euro

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    Santo è uno straordinario maestro vetraio. Ha imparato il mestiere in carcere, nel penitenziario di Voghera, e da quando per la prima volta ha preso in mano un tagliavetro non ha più smesso. Si è diplomato, ha frequentato corsi professionali e imparato diverse tecniche di lavorazione fino a costituire un laboratorio, prima a San Vittore e poi a Bollate. Da qualche anno, grazie all’articolo 21 che permette di uscire dal carcere la mattina per tornarci la sera, ha potuto aprire un piccolo negozio a Milano dove sono esposti orecchini, collane, piattini ma anche lampade in vetro e vere e proprie sculture. Il suo talento e la sua passione sono tali che nel 2011 il sindaco di Milano lo ha premiato con il Panettone d’oro per l’impegno nell’insegnamento della professione ai giovani detenuti. Quella di Santo è solo una delle tante storie di carcerati che grazie al lavoro riescono a riabilitarsi e a trovare una possibilità di reinserimento una volta fuori le sbarre. A raccontarle è il volume “Il mestiere della libertà”, edito da Altreconomia, una guida agli oltre 100 progetti di cooperative e imprese che lavorano con i detenuti dentro e fuori dal carcere.

    Dalla moda ai biscotti, dal pane ai vini, dall’oggettistica alle piante fino al pesce biologico, sono tanti i settori che vedono impegnati uomini e donne reclusi in tutta Italia. All’inizio di marzo 2011 il sito del Ministero della giustizia elencava 366 prodotti “made in carcere” e 703 punti vendita.
    Ma il numero dei detenuti coinvolti è ancora basso. Su una popolazione carceraria di 68 mila persone, solo poco più di 14 mila lavorano. Un dato negativo, soprattutto se si considera che la legge 354 del 1975 reputa il lavoro uno degli elementi del trattamento rieducativo. Inoltre, la maggior parte di questi, oltre 12 mila, lavorano all’interno del carcere come cuochi, addetti alle pulizie, porta-vitto. Poco più di un migliaio sono impiegati in altre lavorazioni e nelle colonie agricole. “E’ indubbio che attività del genere siano di per sé importanti, perché distolgono il detenuto dalla frustrazione dell’ozio e danno anche un piccolo reddito”, spiega Luigi Pagano, provveditore agli Istituti di pena lombardi intervistato da Pietro Raitano, curatore del libro, “ma siamo ancora lontani dagli obiettivi che l’ordinamento penitenziario intendeva quando parlava del lavoro come uno degli elementi su cui basare il processo di reinserimento sociale, varando tutta una serie di norme per agevolarne l’esercizio”. Far lavorare i detenuti, infatti, conviene anche alle cooperative e alle imprese pubbliche o private, che in base alla cosiddetta legge Smuraglia (2000) ricevono sgravi fiscali per attività all’interno dell’istituto o all’esterno, in regime di semi-libertà o di articolo 21. Oggi sono ancora una nicchia, poco più di duemila, le persone impiegate in questo modo, la maggior parte in Lombardia. Sostenere questo tipo di lavoro, si legge ancora nel libro, conviene anche al resto della società: quando un individuo lavora, la recidiva passa dal 70 a meno del 10 per cento.

    I lavori presentati nel volume riguardano per la maggior parte prodotti e servizi che possono essere acquistati da chiunque. Ogni progetto è suddiviso in base alla città e all’istituto di pena cui fa riferimento, con indicazione delle cooperative coinvolte. Ce n’è per tutti i gusti: il servizio di catering della coop Abc-La sapienza in tavola, che dà lavoro a 10 detenuti della casa circondariale di Milano-Bollate, il servizio di giardinaggio e produzione di piante rare e antiche della coop Cascina Bollate onlus, che conta tra i dipendenti cinque detenuti, il progetto “Il filo della dignità” della cooperativa Alice, nata a San Vittore, che realizza abiti, costumi teatrali, servizi di sartoria su commissione e “La fattoria di Al Cappone”, progetto attivo dal 2008 nel carcere di Opera, a Milano, per l’allevamento di quaglie da uova, caso unico nel panorama carcerario italiano. Spostandoci dal capoluogo lombardo, troviamo la produzione di cioccolato e pasticcini della Dolci Libertà srl che avviene nel carcere di Busto Arsizio con il lavoro di 40 detenuti; la produzione di gioielli da materiale di recupero delle detenute di Mantova e quella di borse in pvc del carcere femminile di Rebibbia a Roma; il progetto “Dove nascono i fior. Le magliette di Faber a Marassi” che vede i detenuti di Genova impegnati nella realizzazione di t-shirt in cotone equo serigrafate con le strofe delle canzoni di Fabrizio De Andrè; l’esperimento di allevamento delle orate avviato nel 2001 dalla casa di reclusione dell’isola di Gorgona (Livorno).

    Per ogni progetto sono evidenziate il tipo di produzione, i punti vendita dove trovare i prodotti e tutti i riferimenti, come indirizzo, telefono, mail e sito internet. L’elenco dei prodotti è interrotto dalle interviste ad alcuni direttori di istituti di pena, magistrati ed esponenti di associazioni. Il volume si chiude con un utile glossario sulla terminologia del carcere.

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