Il ministro della mutua

“Il progetto di revisione del Sistema Sanitario Nazionale presentato dal governo, ancor prima di essere inaccettabile politicamente, è soprattutto incomprensibile tecnicamente”. È lapidario Claudio Girelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale, a proposito della paventata introduzione di mutue integrative e sostitutive delle prestazioni pubbliche in campo sanitario. La proposta del Ministro della Salute Girolamo Sirchia ha scatenato le ire di molti, medici e tecnici prima che politici. Anche Giuseppe Del Barone, presidente della Federazione nazionale dei medici e uomo attribuito alla sfera di Forza Italia, si è sentito in dovere di difendere il Servizio sanitario nazionale “a ogni costo”. L’oggetto del contendere sono poche righe contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) 2002-2006 presentato dal governo nei giorni scorsi, dove alla “sfida posta al sistema sanitario dall’incremento della popolazione anziana e alla connessa maggiore incidenza di patologie croniche e degenerative” si risponde con la necessità di “qualificare il sistema delle prestazioni sanitarie socio-assistenziali anche attraverso l’introduzione, in via sperimentale, di mutue integrative e/o sostitutive”.”La proposta è nobile e apprezzabile ma allo stato attuale è incompleta”, fa rilevare Giovanni Marchiani responsabile del Coordinamento dei fondi integrativi sanitari. Numerosi infatti sono i tasselli che devono aggiungersi a questo puzzle prima che diventi completo: quali saranno gli organismi, pubblici o privati, che potranno aprire una mutua? Quali i cittadini che potranno avvalersene? Ma soprattutto “il Ministro non ha ancora specificato se il contributo sarà volontario od obbligatorio”, dice l’esperto in organizzazione sanitaria. Un particolare che fa la differenza. Nel primo caso infatti a versare i premi sarebbero solo quanti hanno a carico persone anziane o disabili. “Pagando già i contributi al Ssn chi sapesse di non doversi avvalere dei servizi offerti dalle mutue non le pagherebbe di certo”, va avanti Marchiani. Risultato: un flop, visti i pochi sostenitori, i premi sarebbero altissimi, e si rischierebbe di non partire neanche. Oppure di garantire prestazioni aggiuntive solo a chi se lo può permettere. Nel caso, più probabile, dell’obbligatorietà vanno allora specificate le categorie di lavoratori che sarebbero coinvolte: dipendenti, artigiani, liberi professionisti, lavoratori atipici. L’impressione è che il mercato del lavoro flessibile mal si concili con l’idea di mutue di categoria. Se è vero che la proposta del governo così com’è appare ancora oscura, chiare ed esplicite sono le parole del sottosegretario all’Economia Giuseppe Vegas, vero ispiratore della manovra sanitaria, apparse sul quindicinale “Il Bisturi”: “non può esserci solo l’operatore pubblico ma devono esserci diversi operatori possibilmente in concorrenza tra di loro, che è poi il sistema in funzione in quasi tutto il mondo”. Il ragionamento è semplice: dando la possibilità a quanti se lo possono permettere di sottoscrivere una polizza sulla salute, diminuirà la domanda verso il Ssn, e quindi i servizi miglioreranno. Con un sistema che all’inizio è di integrazione rispetto al pubblico, ma che si trasformerà nel giro di qualche decennio in sostitutivo. Un programma che a molti fa venire in mente la gestione della sanità degli Stati Uniti – dove le prestazioni garantite a tutti sono molto poche e anche una banale operazione ha bisogno di una polizza di assicurazione – , ma che ufficialmente il governo Berlusconi dice ispirarsi al modello tedesco. “Già oggi, comunque, molti cittadini decidono di accedere a servizi alternativi al pubblico (le strutture private italiane o quelle straniere). Con questa riforma si darebbe questa opportunità non solo a quanti hanno un reddito alto ma anche ai cosiddetti ceti medi”, afferma Emanuele Davide Ruffino, Dirigente Controllo della gestione e della qualità dell’Asl 3 di Torino. “Le mutue regoleranno quindi una situazione di fatto, stabilendo, si spera, non solo vantaggi fiscali, ma anche maggiori controlli sull’operato di queste mutue”. Un richiamo alla concretezza che va contro i proclami politici e ideologici: “la ricerca di un modello perfetto a livello teorico, induce spesso a realizzare e a conservare soluzioni del tutto irrazionali, che vanno a scapito anche dei soggetti più deboli. La sottoscrizione di forme assicurative, così come oggi chi va a farsi curare all’estero a proprie spese, libera risorse, in termini di maggiore facilità di accesso, per chi non può permetterselo”.Il problema, insomma, è quello di coprire uno sbilancio fra i soldi prelevati con le tasse e destinati al Ssn e quelli previsti in uscita: un buco di circa 9 miliardi di euro, come si legge nel Piano sanitario nazionale. In risposta alla soluzione di Sirchia, l’Ulivo propone di alzare la percentuale del prodotto interno lordo da destinare a questo scopo fino al 7 per cento in modo da potenziare il Sistema nel suo complesso. “Un’idea sensata per non mortificare il pubblico”, dice Marchiani, “alla quale però si deve aggiungere un rilancio dei fondi integrativi sanitari, delle centinaia di mutue già presenti in Italia che coprono quanto il Ssn non passa”. Se è inevitabile che una società “vecchia” come la nostra aumenti la spesa sanitaria, è altrettanto necessario che questo settore “venga legittimato agli occhi della collettività”, aggiunge Ruffino. “Per farlo si deve puntare anche a una maggiore razionalità della gestione sanitaria, e per questo devono essere formati dei manager, all’introduzione dell’Evidence based Medicine (la medicina basata sull’evidenza) e all’adozione di linee guida”.

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