La gestione consapevole di un giardino è una sperimentazione artistica legata all’ambiente, alle persone, ai tempi, scrive Antonio Perazzi, paesaggista e botanico. Che, quasi per dimostrarlo, ci porta nel suo giardino di famiglia, raccontando la storia, le peculiarità e le sorprese offerte dalle piante che lo abitano.
Avere a disposizione uno spazio suggestivo, con una storia antica, e saperne modificare la vegetazione con consapevolezza e intelligenza porta ad una sorta di integrazione fisica tra chi progetta e guida il paesaggio e l’ambiente che risponde alle varie sollecitazioni. Il giardino, infatti, è sempre una creazione umana, in cui viene valorizzato il rapporto coerente tra le tante strutture vegetali nella loro continua vitale interazione con il territorio.
E’ proprio l’ambiente intorno che permette o impedisce la convivenza tra specie diverse, che possono svilupparsi in pieno sole o ombreggiandosi reciprocamente, approfittando di terreni acidi o calcarei, argillosi o drenanti. Gli alberi e tutte le piante, infatti, comunicano attraverso una rete di continui scambi di informazioni, riconoscono segnali chimici e biologici ma non conoscono il concetto di confine. Infatti, se lasciate libere di scegliere, si spostano nello spazio e nel tempo inseguendo nuovi ambienti: i loro embrioni possono aspettare anche per tempi lunghissimi che si presentino le condizioni adatte alla loro germinazione.
Il giardino amato e “assecondato” da Perazzi si presenta come una vera fantasmagoria vegetale: vi crescono semi e piante di origine esotica portate da paesi lontani, insieme a piante spontanee o locali e a quelle legate affettivamente a ricordi di momenti belli o di persone care; e questa convivenza segue, nel proprio sviluppo e nelle fioriture, il corso delle stagioni, i periodi di quiescenza, i rigogli primaverili. Talvolta accade lo sbocciare imprevisto di qualche pianta capricciosa rimasta a vegetare per anni, incurante delle premure o degli insulti del giardiniere impaziente; altre piante invece, fioriscono fedelmente tutti gli anni, nonostante le varie vicissitudini invernali o incidenti di varia natura. Così, attraverso la descrizione delle tante specie che appaiono spontaneamente o che vengono ben sistemate in questo paradiso selvatico, il lettore può ritrovare piante conosciute o cominciare a desiderare quelle che sembra facile far crescere anche in un giardino più terrestre.
E’ interessante, nel libro, il rapporto molto personale tra l’autore-giardiniere e le sue “creature”, le attese lunghissime nella speranza che la natura si adatti ai suoi desideri, la volontà di possesso che lo spinge a cercare la propria preda in posti lontani per trasferirla nel proprio territorio, la ricerca per individuare nel giardino italiano le condizioni in cui possa vivere bene anche la pianta straniera. Si avvia allora uno scambio di sfide reciproche, di inviti e resistenze, un alternarsi di desideri e curiosità, di sorprese e insuccessi. E infine l’orgoglio del colonizzatore: “La cosa buffa – commenta Perazzi – è che con l’andar del tempo la maggior parte di queste piante ha finito per trovarsi meglio nel mio giardino che nel posto da cui le ho prelevate”.
La descrizione delle caratteristiche della vegetazione che in tempi e con modalità diverse è entrata a far parte di questo paradiso vegetale guida il lettore – anche non esplicitamente – a sviluppare una particolare sensibilità nei confronti di quelle piante o di quelle situazioni ambientali che si incontrano nella vita reale; aiuta ad accorgersi degli odori, dei profumi, dei colori, delle forme, delle strutture che compongono ogni giardino, ma che si possono riconoscere in ogni viottolo di campagna e, talvolta, anche nei (poco paradisiaci) giardini urbani.