La scoperta delle orme umane impresse nella roccia avvenuta lo scorso luglio nei pressi del lago Valsequillo, nel Messico del Sud, potrebbe racchiudere più misteri di quanto immaginato finora. Uno studio di Paul Renne, esperto di cronologia geologica, contesta la datazione effettuata in precedenza dal geologo Thomas Higham, dell’Università di Oxford per il quale le impronte sarebbero vecchie di 40 mila anni. L’analisi di Renne, pubblicata su Nature, conclude che risalgono a un milione e 300 mila anni fa. Se Renne avesse ragione e se fossero orme umane, sarebbero la prova della più vecchia occupazione umana del Nuovo Mondo. La datazione è stata effettuata in base a due tecniche, che consistono l’una nell’esaminare i rapporti degli isotopi chimici nella cenere vulcanica che rivestiva le orme e l’altra nello studio dei segnali magnetici nei sedimenti recuperati. Anche se i ricercatori sono scettici sulla possibilità che si tratti di impronte umane, non escludono l’eventualità che si tratti di ominidi simili agli umani, addirittura progenitori dell’uomo, presenti in quella zona molto tempo prima dei primi esseri umani. Si tratterebbe di una rivoluzione per la paleontropologia perché i fossili più antichi di Homo Sapiens, rinvenuti in Africa, hanno “soltanto” 160mila anni, mentre la più vecchia prova della presenza umana nelle Americhe è quella dell’occupazione di Monte Verde, in Cile, circa 14.500 anni fa. (a.c.)