Per migliaia di navigatori del web è quasi un giocattolo, ma questa settimana la rivista Nature ha deciso di prenderlo decisamente sul serio e dedicargli la copertina. Stiamo parlando di Google Earth, lo strumento offerto dal popolare portale che consente, dopo aver scaricato gratuitamente un apposito software, di visualizzare immagini aeree virtualmente di ogni punto del pianeta, zoomando progressivamente dalla vista dell’intero pianeta fino al singolo angolo di strada. Con tanto di nomi delle vie, indicazioni di alberghi e ristoranti, nomi dei principali edifici. L’interesse della rivista britannica, che dedica al tema un editoriale, è legato al fatto che Google Earth e strumenti affini (come World Wind della Nasa, che però è più lento e meno efficiente) stanno diventano importanti supporti di ricerca scientifica, perché permettono di rappresentare in modo immediato l’informazione generata da grandi volumi di dati, come quelli ambientali o climatici, e condividerla con altri specialisti del settore in modo finora impossibile. Google Earth è stato il primo software a permettere di accedere via Internet a questo tipo di mappe virtuali. Prima di esso, i volumi di dati necessari per generare una mappa di una grande area geografica dettagliata fino a una risoluzione di pochi metri sfidavano anche la connessione Internet più potente. Per questo, i sistemi per l’elaborazione dell’informazione geografica, i cosiddetti GIS (Geographical Information Systems), che permettono di utilizzare ricostruzioni tridimensionali di grande dettaglio di vaste aree geografiche, sono rimasi sempre appannaggio esclusivo degli specialisti di climatologia, geologia e affini. GoogleEarth, tuttavia, ha aggirato il problema grazie a un sistema di organizzazione gerarchica dell’informazione, detto “virtual globe”, che invia dati di risoluzione sempre maggiore man mano che si effettua lo zoom, riducendo drasticamente il peso dell’informazione. Secondo Nature, è che Earth sta facendo per questi strumenti quello che il Pc ha fatto per l’informatica nel suo complesso: democratizzare l’accesso, e allargare le possibili applicazioni in modi finora non immaginabili. Nature cita diversi esempi di ricercatori che stanno già usando GoogleEarth, o strumenti molto simili, per il loro lavoro. Erik Born, un biologo dell’Institute of Natural Resources a Nuuk, in Groenlandia, lo usa per monitorare gli spostamenti dei trichechi, precedentemente etichettati con rilevatori satellitari di posizione. Leif Pedersen dell’università danese di Lyngby si è invece affidato al software per visualizzare i dati dei satelliti che monitorano la densità e gli spostamenti dei ghiacci artici, insieme alla posizione degli iceberg. David Whiteman, un climatologo del Nasa Goddard Space Flight Center, userà un software molto simile per condividere con i colleghi di tutto il mondo i dati di un dettagliato esperimento sulla meteorologia su piccola scala (quella su cui è più difficile fare previsioni, relativa ai fenomeni che si svolgono su distanze dai 2 ai 200 km). Una batteria di strumenti di rilevamento su satelliti e aerei raccoglierà dati per costruire un modello tridimensionale della colonna di atmosfera sopra Beltsville, nel Maryland. Ne uscirà una grande quantità di dati che potranno essere visualizzati ed esplorati mediante un virtual globe, con tanto di funzione “fly-by”, quella che su Google Earth permette di passare dalla vista verticale alla vera e propria vista tridimensionale, a volo d’uccello. Secondo tutti gli scienziati che già li usano, questo tipo di strumenti potrebbero cambiare completamente l’approccio ad alcuni problemi scientifici, grazie alla possibilità che offrono di visualizzare per esempio dove una situazione meteo combacia con le previsioni e dove no. Inoltre, si tratta di ottimi strumenti per comunicare la scienza al pubblico e rendere accessibili dati di grande interesse anche per il cittadino. Il Noaa (National Oceanic and Atmoshperic Administration), l’ente che sorveglia tra l’altro l’evoluzione degli uragani, sta già considerando l’idea di usare Google Earth per offrire a un pubblico più vasto l’informazione sui più importanti fenomeni atmosferici, in modo che ognuno possa vedere con un dettaglio finora mai raggiunto quanto una perturbazione dista a casa sua. Per finire, software di questo tipo hanno già mostrato la loro grande utilità in caso di catastrofi naturali, come il terremoto in Pakistan e l’uragano Katrina. Immediatamente dopo il passaggio di Katrina sono stati sviluppati strumenti basati su immagini aeree ad alta definizione che hanno permesso di monitorare giorno per giorno le aree colpite dall’uraganao. In Pakistan, dove non erano disponibili immagini riprese da aerei di sorveglianza, GoogleEarth ha acquisito e opportunamente processato le immagini riprese da un satellite commerciale per sorvegliare l’area terremotata e dirigere il lavoro dei soccorritori.