“Per l’invenzione di diodi efficienti che emettono luce blu, che ha permesso lo sviluppo di sorgenti di luce bianca luminose ed energeticamente economiche”. Con questa motivazione, la Royal Swedish Academy of Sciences ha conferito il premio Nobel per la fisica 2014 a Isamu Akasaki, della Meijo University e della Nagoya University, Hiroshi Amano, della Nagoya University, e Shuji Nakamura, della University of California, Santa Barbara. È grazie ai loro sforzi se lo smartphone che avete in tasca ha un flash così bianco e brillante: sono infatti i led blu realizzati dai tre scienziati all’inizio degli anni novanta, combinati con quelli rossi e verdi sviluppati trent’anni prima, che permettono l’emissione di luce bianca continua. Quella dei flash degli smartphone, per l’appunto, ma non solo. Anche di fari delle automobili e illuminazione domestica, tanto per citarne altre due.
Un po’ di storia. La storia della luce comincia, naturalmente, con il fuoco. Fino alla fine del diciannovesimo secolo, l’unica sorgente di illuminazione era rappresentata dalla combustione dell’olio o della cera con torce, candele e lanterne. Le cose cambiarono radicalmente nel 1878, quando Thomas Alva Edison riuscì a costruire il primo modello efficiente di lampadina a incandescenza, perfezionando un’idea di Joseph Wilson Swan. Si trattava di un bulbo di vetro in cui veniva praticato il vuoto e che conteneva un filo di tungsteno. Facendo passare corrente elettrica nel filo, questo diventa incandescente (è il cosiddetto effetto Joule) ed emette luce giallastra. Inutile sottolineare la portata e il successo dell’invenzione. È sopra le teste di tutti.
Led, led, led. Certo, i led sono tutta un’altra storia. L’efficienza luminosa di una candela, misurata in lumen/Watt, cioè rapporto tra il flusso luminoso generato e la potenza in ingresso, si attesta intorno a 0,3. Una lampadina a incandescenza arriva più o meno a 70. I led ne fanno ben 300. Un risparmio energetico non indifferente, insomma. Sviluppati all’inizio degli anni sessanta (all’epoca solo in versione rossa), i led sono dei dispositivi optoelettronici che sfruttano le proprietà di materiali semiconduttori. Sono costituiti da tre strati: il cosiddetto strato n, che contiene elettroni, lo strato p, con le lacune (ovvero portatori di carica positiva), e uno strato intermedio (lo strato attivo) costituito dal semiconduttore. Applicando una tensione allo strato n e allo strato p, gli elettroni si combinano con le lacune ed emettono fotoni – cioè, in soldoni, luce. La frequenza dei fotoni emessi, ovvero il colore della luce, dipende dal semiconduttore usato.
Blue is the new white. Se lo sviluppo di led rossi e verdi è stato relativamente semplice, lo stesso non si può dire per led a luce blu. Ci sono voluti trent’anni per trovare il materiale giusto – ed è per questo che la scoperta è stata ritenuta valevole di Nobel. Akasaki, Amano e Nakamura hanno messo a punto, all’inizio degli anni novanta, un composto a base di cristalli di nitruro di gallio ad alta qualità che, finalmente, si sono dimostrati in grado di emettere luce alla frequenza giusta. A quel punto, il gioco è fatto: mettendo insieme led rossi, verdi e blu è possibile ottenere quella bella luce bianca brillante che fa splendere le nostre stanze e le nostre foto. E ci assicura un bel risparmio sulla bolletta. E permetterà, secondo gli esperti di Stoccolma, di portare gradualmente l’illuminazione anche nelle zone del mondo meno servite dall’elettricità.
I vincitori. Akasaki, classe 1929, è nato a Chiran, in Giappone, e insegna alla Mejo University e alla Nagoya University, a Nagoya. Amano, il più giovane dei tre, è nato nel 1960 a Hamamatsu e insegna alla Nagoya University. Nakamura, nato nel 1954, è dall’altro lato dell’oceano. Insegna alla University of California, Santa Barbara. Svegliato nel cuore della notte per l’annuncio del Nobel, ha risposto soltanto: “Unbelievable”.
Credits immagine: jared/Flickr
Via: Wired.it
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