E’ finita solo pochi giorni fa ma sembra già lontana anni luce. La World Conference Against Racism, tenutasi a Durban, Sud Africa, dal 31 agosto all’8 settembre, ha coinvolto centinaia di persone provenienti da 163 Paesi diversi che per otto giorni hanno discusso su valori vitali per il nostro pianeta. Primo fra tutti il mantenimento della pace e dell’armonia tra i popoli nella convivenza tra diverse fedi e culture. Non sono mancate le polemiche – i problemi del Medio Oriente hanno “infuocato” il tavolo delle discussioni rischiando di sabotare l’intera conferenza – ma si è parlato anche di altri argomenti “scottanti” quali la globalizzazione. Galileo ha intervistato Laura Casorio, che lavora nel Servizio Rifugiati e Migranti, e che ha partecipato alla conferenza in qualità di rappresentante della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.
Qual è stato il suo ruolo nella conferenza?
“Facevo parte di due delegazioni, di cui una internazionale chiamata Migrants Rights International: si tratta di un’organizzazione con sede a Ginevra che si occupa dei diritti dei migranti, fa da osservatorio e collabora con network governativi e intergovernativi. L’intera delegazione consisteva di 30 persone provenienti per la maggior parte dall’Asia e dall’America Latina, e in numeri più esigui dall’Europa, dall’Africa e dal Nord America. Inoltre ho preso parte anche alla delegazione italiana delle Organizzazioni non governative, costituita da circa 20 rappresentanti di associazioni diverse”.
Quali iniziative avete preso in ciascuna delegazione?
“Uno dei fini ultimi della Conferenza è stata l’adozione di un documento finale che toccasse diversi temi. Noi, come Mri, abbiamo seguito quello dei lavoratori migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati politici, senza trascurare i cosiddetti Internal Displayed Persons: si tratta dei rifugiati politici interni, un fenomeno non presente in Italia ma che riguarda invece Paesi dove sono in atto conflitti interni oppure con Paesi limitrofi. Col gruppo italiano abbiamo incontrato una delegazione parlamentare di cinque componenti di diverse aree politiche, sia di maggioranza che di minoranza. La nostra richiesta è stata quella di adoperarsi affinché anche in Italia si abbiano degli interventi a seguito della conferenza. In particolare ci siamo pronunciati per la firma e la ratifica della Convenzione sui Migranti, un documento Onu che raccomanda la garanzia dei diritti fondamentali dei migranti e che per diventare operativo deve essere firmato da almeno 100 Paesi. Sebbene durante la conferenza ci siano state rilevanti adesioni, quel numero non è stato ancora raggiunto. Infine, come rappresentante della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, ho preso parte anche ai forum del World Council of Churches, un organismo ecumenico cristiano che ha avuto varie iniziative durante la conferenza adoperandosi in particolare sul tema della pena di morte.”
Quali sono state le sue impressioni “dall’interno” della Conferenza?
“Sebbene il conflitto arabo-palestinese sia stato indubbiamente l’argomento che ha avuto la maggior risonanza, la crisi del Medio Oriente ha rappresentato solo una parte dei lavori della conferenza. I temi principali sono stati la protezione dei diritti dei migranti, delle minoranze etniche, linguistiche e religiose e dei popoli senza Terra, e la questione della compensazione economica nei confronti di quei Paesi che hanno subito il fenomeno della schiavitù. La segretaria generale e alto commissario delle Nazioni Unite Mary Robinson aveva dichiarato durante i lavori di apertura: “Vogliamo una conferenza non di sole parole ma di azioni”. E la promessa è stata mantenuta: tutte le delegazioni si sono adoperate per discutere e stabilire misure di prevenzione e di protezione per il completo sradicamento di qualunque fenomeno di discriminazione razziale e di intolleranza a qualunque livello. Non si nasce razzisti: la xenofobia è frutto di ignoranza e di pregiudizi. Bisogna combattere il fenomeno portando educazione, cultura e dando nuove prospettive, nuovi punti di vista. Si è discusso inoltre delle forme più infime del traffico e dello sfruttamento di donne e bambini, di come combatterlo, e si è parlato anche delle misure da prendere là dove i danni ci sono già stati e sulle eventuali compensazioni. E c’è stata unanimità nello stabilire che l’unico modo per ottenere risultati è quello di una strategia comune e ben coordinata a livello internazionale”.