C’è chi sceglie di cambiare e chi, invece, difende gelosamente la propria routine, chi tenta la sorte abbandonando la strada vecchia e chi fatica ad allontanarsi dai tragitti abituali. E, ancora, chi va in avanscoperta e chi aspetta, molti passi indietro, le indicazioni su come muoversi. In poche parole c’è chi ha spirito d’avventura e chi no. Accade tra gli esseri umani, e, in maniera sorprendentemente simile, anche tra le api. Ad affermarlo è uno studio dell’Università dell’Illinois pubblicato su Science, che ha individuato nel cervello degli insetti quelle caratteristiche, già riscontrate negli umani, che rendono alcuni individui più intraprendenti di altri.
Gli opposti atteggiamenti che distinguono un esploratore da un abitudinario dipenderebbero, secondo gli scienziati, dalle differenze nell’espressione di alcuni geni correlati a specifici neurotrasmettitori: le catecolamine, il glutammato e l’acido gamma-amminobutirrico (GABA). È la concentrazione di queste sostanze a influire sulla maggiore o minore predisposizione alle novità.
Tra le api mellifere (Apis mellifera) sembrano esistere due tipologie di “Indiana Jones”: quelle che si spingono verso l’ignoto in cerca di cibo (la loro presenza in una colonia varia dal 5 al 25%) e quelle che si lasciano alle spalle il vecchio alveare per trovarne un altro e dar vita a una nuova colonia (sono meno del 5%). Gli autori dello studio si sono chiesti se i due gruppi, le intrepide cacciatrici e le temerarie esploratrici, condividessero la stessa passione per le novità, indipendentemente dalle loro specifiche attitudini. Si trattava cioè di capire se le api che coraggiosamente abbandonano la casa d’origine, rischiando anche di peggiorare la propria situazione, fossero disposte a lanciarsi con la stessa audacia nella ricerca del cibo.
Il risultato ottenuto dopo due anni di osservazioni di otto differenti colonie non lascia dubbi: gli individui a cui piace scoprire nuovi nidi sono almeno tre volte più inclini a sorvolare ignoti campi fioriti per procurarsi il nettare rispetto ai loro compagni sedentari. “Dimostrare che esiste la stessa tendenza in differenti contesti”, spiega Gene Robinson, a capo del gruppo del ricerca, “significa individuare quello che viene comunemente definito come il tratto tipico della personalità”.
Una volta appurato che anche le api possono avere differenti personalità, più o meno avventurose, i ricercatori hanno voluto individuare le basi molecolari del loro comportamento. E lo hanno fatto mettendo a confronto i cervelli delle esploratrici con quelli delle abitudinarie, grazie alla tecnica dell’analisi genomica basata sui microarray. Che ha evidenziato considerevoli differenze nei livelli di concentrazione delle stesse sostanze già chiamate in causa per il comportamento umano (catecolamine, glutammato e acido gamma-amminobutirrico).
Test successivi hanno confermato il ruolo chiave di quei neurotrasmettitori: le api pigre cui venivano somministrate dosi di octopamina (sostanza simile alla noradrenalina) e glutammato abbandonavano la loro consueta prudenza mostrandosi più concilianti verso le novità. Mentre quelle cui veniva somministrato un inibitore della dopamina riducevano l’attitudine all’esplorazione.
Già analizzate in molti vertebrati, le basi biologiche del senso dell’avventura non erano mai state studiate prima d’ora negli insetti.
Riferimento: DOI: 10.1126/science.1213962
Credit per l’immagine: L. Brian Stauffer