Un piccolissimo dispositivo elettronico in carbonio, in grado di captare e registrare i segnali elettrici prodotti dalle cellule dell’organismo e che, se inserito nei tessuti di alcuni organi, potrebbe compensare eventuali disabilità dovute a danni neurologici. A costruirlo sono stati alcuni ricercatori della Technische Universität München (Monaco, Germania) che riportano i risultati della loro sperimentazione nella rivista Advanced Materials. La vera novità, però, non sta nell’invenzione in sé ma piuttosto nel materiale utilizzato per mettere a punto questo congegno: il grafene, un sottile foglietto formato da un singolo strato di atomi di carbonio.
Da anni gli scienziati che lavorano nel campo della bioelettronica tentano di produrre sensori che siano in grado di comunicare con le cellule viventi. Diversi i materiali saggiati, dalle strutture in diamante ai nanotubi di carbonio, ma, almeno finora, gli unici risultati rilevanti erano stati quelli ottenuti con dispositivi elettronici basati sulla tecnologia del silicio. Questo materiale rigido, tuttavia, essendo incompatibile con i substrati flessibili e con l’acqua presente nei sistemi biologici, non può essere integrato nei tessuti animali. Il grafene, al contrario, è chimicamente stabile e pertanto non reagisce con le altre molecole né subisce variazioni se messo a contatto con l’ambiente cellulare. Inoltre, le sue ottime capacità elettriche lo rendono un materiale ideale per la produzione di sensori bioelettronici.
Utilizzando tecniche di fotolitografia e incisione, i ricercatori tedeschi hanno costruito con il grafene un sensore, un dispositivo formato da una serie di transistor “ad effetto di campo” (G-SGFET). In seguito hanno fatto crescere al di sopra del sensore e a contatto con esso, una coltura di cellule cardiache, che come qualsiasi tessuto muscolare sono dotate di attività elettrica. Come spiega Jose Antonio Garrido, a capo della ricerca, il principio di funzionamento del sensore è semplice: “Variazioni dell’ambiente elettrico e chimico nelle vicinanze della porta del dispositivo FET vengono convertite in variazioni della corrente del transistor”.
Usando questo dispositivo, infatti, gli scienziati sono riusciti a ottenere un tracciato dei segnali elettrici propagatisi dalle cellule attraverso il foglietto di carbonio posto a contatto con esse. I risultati dello studio, inoltre, hanno mostrato come questo nuovo impianto sia in grado di distinguere i segnali elettrici emessi dalle cellule dal rumore di fondo del transistor (molto inferiore rispetto a quello prodotto dai sensori in silicio), e di registrarli, identificando e separando anche picchi di attività estremamente vicini tra loro. Inoltre, il sensore in grafene riesce a captare e registrare anche i cambiamenti dell’attività elettrica delle cellule, come ad esempio la maggiore frequenza dei picchi conseguente a un aumento dei livelli di norepinefrina (l’ormone dello stress) nella coltura.
Visti i risultati raggiunti in laboratorio, gli scienziati stanno ora valutando la compatibilità biologica dei foglietti di grafene con le cellule della retina dell’occhio, e stanno lavorando per trasferire questa tecnologia, idonea ai substrati flessibili come i tessuti animali, ad altri materiali già impiegati nella costruzione di impianti in vivo.
Riferimenti e immagine: Adavnced Materials; DOI: 10.1002/adma.201102990