Il santuario dei cetacei nel Mediterraneo si farà. Un’area di centomila chilometri quadrati di mare tra la foce del Rodano, sulle coste provenzali, la Toscana, la Liguria e la Sardegna, diventerà zona franca per le migliaia di balene e delfini che ogni estate vi si raccolgono in gran numero, attratti da grandi quantità di cibo. Dopo anni di trattative e battaglie ambientaliste, nei giorni scorsi l’Italia ha finalmente messo a punto la sua proposta di perimetrazione e regolamentazione di quello che gli studiosi considerano il “triangolo d’oro” dei cetacei del Mediterraneo.
Per ora si tratta di una accordo interno, tra i diversi ministeri interessati (ambiente, esteri, trasporti e politiche agricole), che dovrà essere sottoscritto dalla Francia e dal Principato di Monaco. Ma c’è di che ben sperare. I monegaschi hanno fatto sapere di essere pronti ad aderire e anche i francesi, che pure potrebbero avere delle riserve, in linea generale sono favorevoli alla realizzazione del santuario. Buon segno il fatto che siano stati loro a proporre che al vertice italo-francese in programma per lunedì prossimo a Firenze la questione del santuario fosse posta all’ordine del giorno. Buoni auspici vengono anche da Lucien Chabason dell’Unep (il programma Onu per l’ambiente): “Aspettiamo con molta impazienza la creazione di questa riserva internazionale e so che i tre paesi sono vicinissimi all’accordo”, ha dichiarato nei giorni scorsi in un convegno svoltosi a Genova.
Sebbene nel mondo esistano diversi santuari di cetacei, nel Massachusetts e alle Hawaii, per esempio, o in Australia e nuova Zelanda, due nazioni, queste ultime dove tutte le acque costiere sono protette per i cetacei, quello proposto dall’Italia vanta diversi primati: è il primo in Europa e nel Mediterraneo ed è l’unico ad avere carattere internazionale, coinvolgendo aree di interesse economico non esclusivo. In questo senso è un caso nuovo dal punto di vista del diritto internazionale. Ed è proprio qui che si annida uno dei problemi non ancora risolti: come fare a imporre il rispetto delle regole a paesi terzi nelle acque internazionali comprese nell’ipotesi di perimetrazione del parco. Anche con l’adesione di Francia e Principato di Monaco, infatti si tratterebbe comunque di una dichiarazione unilaterale da parte di tre nazioni rivierasche che si autolimitano per tutelare l’ecosistema pelagico. La questione dunque non è completamente risolta e l’accordo si limita a prevedere che i paesi firmatari facciano rispettare le norme del diritto del mare previste nell’ambito della Convenzione di Montego Bay del 1982.
Ma come mai ci sono voluti dieci anni per definire il piano italiano, con tutto che il nostro paese quasi dieci anni fa avesse già istituito un’area di tutela biologica, in un triangolo molto più piccolo? “Tra le difficoltà maggiori – risponde Giuseppe Notarbartolo di Sciara, esperto di cetacei e presidente dell’Icram – c’era quella dell’impiego delle reti derivanti, le cosiddette spadare. Ma è stata rimossa in sede europea con la decisione di bandirle a partire dal 2002, e questo ha certo spianato la strada”. Rimaneva però l’opposizione dei pescatori, che vedevano nell’istituzione del santuario grosse limitazioni alla loro attività. Timori infondati poiché, escluse le derivanti, le tecniche di pesca attualmente in uso difficilmente interferiscono con la vita dei cetacei. Nell’accordo, dunque, l’unica limitazione riguarda eventuali nuovi sistemi di pesca, che dovranno essere sottoposti a delle valutazioni d’impatto. “Questo per evitare – spiega Notarbartolo – che si inizi a pescare il krill nel mar ligure, come già si fa in Antartide, senza alcuna valutazione preliminare”.
Nessuna particolare limitazione nemmeno per le rotte commerciali, molto intense, che attraversano l’area del santuario. Del resto, non è nello spirito dell’accordo limitare le attività produttive e causare danni economici. “Si tratta di affrontare le questioni di interesse economico e con una particolare attenzione alla tutela dell’ambiente, avvalendosi anche di nuove soluzioni tecnologiche”, precisa lo studioso. Certamente, però, se questa diventa un’area protetta, la soluzione di molte questioni ambientali dovrebbero essere facilitata. Quanto meno dal punto di vista del rispetto delle norme stabilite da convenzioni internazionali, che l’Italia ha sottoscritto. Il santuario servirà senz’altro a tenere desta l’attenzione su un’area cruciale e spingerà anche verso la regolamentazione del whale watching, attività che attira sempre più turisti in tutto il mondo. Si tratta di favorirla come occasione di incontro con i cetacei e anche come opportunità di lavoro, evitando però di disturbare gli animali.
Per quanto il Mediterraneo sia uno dei mari più inquinati da idrocarburi, le popolazioni di cetacei sono infatti ancora numerose. Anche se in alcuni casi, come quelli del delfino pelagico e del capodoglio, vi è una certa preoccupazione tra gli studiosi. Questo soprattutto per la presenza nel loro organismo di altissimi livelli di determinate categorie di contaminanti di cui si ignorano gli effetti. “Balenottere e stenelle, principali protagoniste del santuario, sono presenti in numero ancora cospicuo”, afferma Notarbartolo. “Ciò non toglie che sia necessario tenerli d’occhio. Un grande numero in diminuzione preoccupa senz’altro di più di una popolazione piccola ma costante”.