Nell’ultimo ventennio, il numero degli animali coinvolti ogni anno nelle ricerche mediche si è dimezzato. Lo scorso anno le cavie sono state poco meno di due milioni e settecentomila: un numero di poco inferiore ai test effettuati, per l’impiego ripetuto di uno stesso animale. A dare la notizia è il British Medical Journal in occasione della diffusione di un libretto edito dalla Società in Difesa della Ricerca. L’opuscolo, dal titolo “La speranza, la sfida, la gente”, mira a far comprendere al grande pubblico come e perché gli animali vengano usati nei laboratori. I sei ricercatori autori del lavoro sono concordi nel ritenere che le ricerche condotte sugli animali costituiscono un mezzo per un fine di grande valore (spesso per realizzare cure mediche che salvano vite umane, come nel caso dell’insulina, dei farmaci contro il cancro, dei trapianti). “A nessuno di noi piace fare esperimenti su animali”, ha affermato Mark Matfield, direttore della Società in Difesa della Ricerca, “tuttavia, lo studio su di essi è l’unica via della ricerca medica”. Non la pensa così l’Unione Britannica per l’Abolizione della Vivisezione, che indica nelle colture cellulari, nei modelli informatici, negli esperimenti sui tessuti umani, metodi validi e alternativi di ricerca. Secondo l’Unione, il Governo Britannico avrebbe destinato, lo scorso anno, circa 429 mila euro a questo tipo di studi: una cifra troppo bassa. “Non siamo sicuri che sia sempre necessario condurre esperimenti sugli animali. Il fatto è che manca del tutto la volontà politica di trovare un tipo di ricerca che sia alternativa”, ha sostenuto un portavoce dell’Unione. (d.d.v.)