La madreperla che costituisce la conchiglia di molti molluschi marini è ben nota per il suo utilizzo nelle decorazioni e in gioielleria. In pochi però conoscono la sua elevata resistenza alle fratture, ben 3.000 volte superiore a quella del minerale nativo dalla conformazione analoga, l’aragonite. “Ci si può passare sopra con un camion senza romperla”, afferma Pupa Gilbert, la coordinatrice di un gruppo di ricerca dell’Università del Wisconsin-Madison che ha scoperto nuovi aspetti nella microarchitettura di questo biomateriale.
L’esame di una sezione della conchiglia di un mollusco (l’abalone o orecchia di mare), effettuata tramite la luce polarizzata emessa da un sincrotrone, ha permesso di evidenziare nuovi dettagli della sua struttura molecolare: la matrice contiene distinti gruppi di “mattoni”, ognuno costituito da una colonna irregolare di cristalli di carbonato di calcio di identica composizione ma orientamento differente rispetto alle colonne adiacenti. Questa caratteristica peculiare è il segreto della elevata resistenza della conchiglia, in quanto la disposizione casuale delle colonne di cristalli impedisce in ogni modo la formazione di piani di frattura.
Grazie a questi risultati, un altro gruppo di ricercatori della stessa università, coordinati dal fisico teorico Susan Coppersmith, hanno ipotizzato un modello del processo di formazione della conchiglia e le ragioni della sua elevata resistenza. La sintesi avverrebbe a partire da uno strato di “malta” organica, il quale viene poi riempito con i cristalli che si distribuiscono a partire da siti di aggregazione disposti casualmente. Ciascun cristallo inizia a crescere all’interno della conchiglia e si sviluppa orizzontalmente finché non incontra un altro cristallo in formazione e verticalmente finché non raggiunge lo strato di “malta” superiore. Quando il cristallo viene a contatto con un altro dei siti di formazione presente nello strato superiore, esso dà il via alla crescita di un nuovo cristallo con uguale orientamento il quale gradualmente va a formare una colonna di spessore irregolare. Al termine del processo, solo il 5% della struttura è costituito da materia organica.
“Si può intuire che un polimero cristallino è più resistente di un singolo cristallo”, spiega Gilbert, che non esclude applicazioni pratiche di questi studi: “Una volta compreso a pieno il procedimento di formazione, si potrà pensare di riprodurlo sintetizzando un materiale ‘biomimetico’ per costruire, per esempio, automobili che, in caso di incidente, assorbano tutta l’energia al punto d’impatto senza subire danni consistenti”.
(s.s)