A oltre due anni dall’inizio della pandemia, gli studi sul coronavirus si susseguono a ritmo serrato per determinarne gli effetti sul corpo e mettere a punto terapie e vaccini sempre più efficaci. Ma anche per cercare di far luce, dopo la fase acuta, su quelle che potrebbero essere le ripercussioni dell’infezione in termini di long-covid. Una di queste ricerche, condotta nei macachi, ha rilevato tra i principali siti di infezione gli organi genitali maschili. Questo studio, seppur preliminare – al momento è ancora infatti in fase di pre-print – suggerisce che svariati disturbi associati all’infezione da SARS-CoV-2, dai dolori testicolari alle disfunzioni erettili alla ridotta fertilità, possano essere imputabili alla diffusione diretta dell’infezione nei tessuti genitali e non agli effetti sistemici della malattia.
La PET per scoprire dove colpisce il virus
La scoperta è arrivata mentre gli scienziati stavano testando una tecnica non invasiva, la PET (tomografia a emissione di positroni), per chiarire tempi e modi della diffusione di SARS-CoV-2 nel corpo di tre macachi. Per capire in che modo l’infezione si diffonda nell’organismo, il team di ricercatori statunitensi ha usato un marcatore radioattivo che consente di visualizzare, tramite immagini PET appunto, la presenza della proteina spike del coronavirus. Pur non sapendo dove avrebbero trovato il virus, si aspettavano di osservare come principali siti di infezione i polmoni e le alte vie respiratorie. Ma in tutte le scansioni a una settimana e a due settimane dal contagio, la concentrazione del marcatore era molto elevata anche a livello di testicoli, pene e prostata dei tre macachi testati.
Un risultato inaspettato afferma in una nota Thomas Hope, coautore dello studio alla Feinberg School of Medicine della Northwestern University di Chicago, sebbene altri virus si comportino in maniera simile: tracce di virus nello sperma sono state osservate, e a lungo, per ebola, ma anche per Zika e il virus degli orecchioni (parotite), associato a rischio sterilità nei maschi.
Il virus nei genitali maschili
La presenza del virus a livello dei genitali potrebbe avere un significato clinico? E’ possibile, secondo gli esperti, soprattutto in considerazione del fatto che in circa il 10-20% degli uomini infettati dal coronavirus si osservano sintomi associati a disfunzioni dell’apparato riproduttivo. Secondo lo scienziato, le decine di milioni di uomini che hanno contratto il Covid-19, soprattutto se in forma severa, dovrebbero verificare il loro stato di salute sessuale e riproduttiva e se è il caso sottoporsi a terapie per prevenire o diminuire futuri problemi.
Sebbene si tratti di un risultato preliminare, che andrà approfondito con ulteriori ricerche, la speranza di Hope e colleghi è che questo studio contribuisca a far luce sui meccanismi di diffusione del virus nell’organismo e del long-covid e faciliti lo sviluppo di cure sempre più mirate ed efficaci per contrastare la pandemia.
Riferimenti: bioRxiv, Northwestern University
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