Contrariamente a quanto si pensava, i nostri anticorpi contro i virus influenzali umani appartenenti ai ceppi H1 e H3 non ci proteggono contro gli stessi ceppi di origine animale. La prova, riportata su Plos Pathogens della scorsa settimana da Ilaria Capua dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie e da Elia Vincenti dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano, mette in discussione uno dei dogma sulla origine delle pandemie influenzali.
Il rischio di pandemie influenzali
La maggior parte della popolazione possiede anticorpi contro i sottotipi H1 e H3 per le precedenti esposizioni ai virus stagionali, oppure perché indotti dalle vaccinazioni. Per testare se questi anticorpi siano o meno efficaci contro i ceppi H1 e H3 dei virus che colpiscono gli animali, le ricercatrici hanno esaminato campioni di sangue umano raccolti durante la campagna antinfluenzale condotta dal San Raffaele nel 2006. Come riportano le autrici, i risultati delle analisi indicano chiaramente che i sieri prelevati post-vaccinazione non contengono anticorpi protettivi nei confronti dei ceppi H1 e H3 animali. Questo implica che un nuovo virus pandemico umano possa essere tranquillamente del tipo H1 o H3 e sfata la convinzione che solamente alcuni ceppi di influenza animale (per esempio H5, quello dell’influenza aviaria) possano essere pericolosi per l’essere umano.
Prepararsi a future emergenze
Mentre l’aviaria ha causato danni limitati perché il virus non ha “imparato” a trasmettersi da persona a persona e l’influenza suina (H1N1) si è rivelata a bassa mortalità – seppure dichiarata pandemica -, la diffusione di sottotipi appartenenti ai ceppi H1 e H3 di origine animale potrebbe esporre la popolazione mondiale al pericolo di nuove pandemie: “Dobbiamo aprire i nostri orizzonti di ricerca sui virus animale H1 e H3 per non essere colti impreparati a fronteggiare potenziali future emergenze”, ha concluso Vincenti. (s.s.)
Riferimento: doi:10.1371/journal.ppat.1000482