All’inizio della pandemia lo chiamavamo coronavirus di Wuhan, mentre oggi si è passati a espressioni come “variante inglese”, che solamente alcuni giorni fa ha generato il panico in tutta Europa, e ora anche a “variante italiana”, appena scoperta a Brescia e che sarebbe molto simile a quella inglese. Ma cosa si intende esattamente con variante del coronavirus e perché ha poco senso associarla a una specifica nazione? E per ultimo, ma non meno importante, perché non bisogna preoccuparsi sul fronte dell’efficacia del vaccino anti-Covid?
Le mutazioni del coronavirus
Come molti altri virus a rna, anche il coronavirus muta e continuerà a farlo. A sottolinearlo sono stati diversi studi, secondo cui non esiste un solo ceppo base del coronavirus, ma una miriadi di mutazioni più meno rilevanti, che si generano e si diffondono. Per esempio, una ricerca condotta dallo Houston Methodist Hospital (in Texas) e pubblicata lo scorso novembre, ha scoperto che dall’inizio della pandemia il Sars-Cov-2 ha accumulatocentinaia di mutazioni. Analizzando il suo genoma in oltre 5mila pazienti positivi, infatti, i ricercatori hanno notato ben 285 punti di differenza rispetto al coronavirus iniziale, quella che si era diffusa nella città cinese di Wuhan. Come vi avevamo raccontato, tuttavia, la maggior parte delle mutazioni individuate dal team di ricerca statunitense non sono più pericolose, tranne un unico ceppo, il D614G, più contagioso, ma non più letale.
La variante italiana
È molto simile a quella inglese e circolerebbe nel nostro paese dai primi di agosto. Si tratta della “variante italiana”, appena scoperta a Brescia. A raccontarlo in un’intervista rilasciata all’Adnkronos è Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, secondo cui si tratterebbe di una variante precedente a quella emersa a fine settembre nel Regno Unito. Come racconta l’esperto, questa variante presenta diversi punti di mutazione della proteina spike, la chiave di accesso del virus alle cellule umane. In particolare, la variante ha una mutazione in posizione 501, punto fondamentale nell’interazione tra la spike e il recettore cellulare, e in posizione 493, una mutazione che in questo caso rende la spike leggermente diversa dalla versione base, quella che conosciamo dall’inizio della pandemia.
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Perché non ha senso associarle a una nazione
Cinese, inglese e ora anche italiana. Un’abitudine, quella di associare il coronavirus e le sue varianti a una specifica nazione, che non ha molto senso. Come vi avevamo raccontato, per esempio, quella inglese è presente ormai da parecchi mesi e se nel Regno Unito ha avuto modo di diventare quella dominante, la più diffusa tra tutte le altre varianti (presumibilmente per la sua elevata contagiosità), non è affatto detto che abbia avuto origine proprio in questa nazione. Quello che conta, quindi, è che nel Regno Unito ha effettivamente circolato di più ed è stata individuata, ma non significa per forza che abbia avuto origine proprio lì, né tantomeno che sia rimasta confinata.
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L’efficacia del vaccino anti-coronavirus
Per ora, sia per la variante inglese che per quella italiana, non c’è alcuna preoccupazione che il vaccino anti-Covid possa non essere efficace. Come raccontano gli esperti, infatti, il vaccino attiva una risposta verso molte aree della proteina spike. “Anche se vi fossero alcuni anticorpi non in grado di riconoscere una zona mutata come quella in posizione 501 o 493, ce ne sarebbero sicuramente altri in grado di legarsi a porzioni non mutate della proteina”, precisa Caruso all’Adnkronos. “Il loro legame sarebbe sufficiente a impedire l’interazione tra Spike e recettore cellulare, anche solo per una sorta di ‘ingombro sterico’ che gli anticorpi creerebbero sulla superficie del virus. In poco tempo avremo comunque una risposta certa a questa domanda”.
Via: Wired.it
Credits immagine di copertina: mattthewafflecat/Pixabay