È fuori da ogni ragionevole dubbio che bisogna mettere un freno il prima possibile all’inquinamento da plastica: basta pensare che ogni anno milioni di tonnellate di questo materiale finiscono nei nostri mari. Ma come? Sicuramente partendo dallo stabilire misurazioni per il conteggio e il monitoraggio dei rifiuti di plastica che siano standard.
Ma non solo: bisogna tener conto dell’intero ciclo di vita della plastica, quindi dalla sua nascita e produzione fino alla sua morte, ovvero quando diventa spazzatura, fissare degli obbiettivi ben precisi e istituire un comitato scientifico consultivo.
È questa l’idea di 193 Stati membri che durante questa settimana si incontreranno a Nairobi, in Kenya, per discutere sulla realizzazione, che dovrebbe richiedere nelle migliore delle ipotesi circa un paio di anni, del primo trattato globale sull’inquinamento da plastica, volto appunto a combattere l’enorme contaminazione di questo materiale sul nostro pianeta.
Le proposte sul tavolo
Per porre un limite all’inquinamento da plastica, spiega a Science Jenna Jambeck, esperta dell’Università della Georgia, “dobbiamo intraprendere più azioni e più a monte nel processo di produzione”. Sebbene infatti si stiano già facendo numerosi sforzi a livello internazionale per ridurre i rifiuti di plastica, finora nessun trattato prendeva in considerazione l’intero ciclo di vita del materiale, cioè dalla nascita fino alla morte. Adottare un approccio così ampio alla plastica, secondo il parere espresso sempre a Science da Anja Brandon, esperta presso l’Ocean Conservancy, “sarà uno sforzo scientifico molto più grande”. In particolare la proposta, modellata sul trattato sul clima delle Nazioni Unite, prevede che le nazioni adottino piani d’azione, stabiliscano obiettivi precisi sulla riduzione dei rifiuti, attuino sistemi di monitoraggio standard e istituiscano un nuovo organo consultivo scientifico globale.
Tra i problemi attuali, per esempio, c’è quello della scarsità di numeri precisi e comparabili sulla portata e sulle fonti dell’inquinamento, il che, quindi, rende difficile identificare gli hot spots o rilevarne le tendenze. In questo caso, il nuovo trattato potrebbe promuovere e stabilire metodi standard di misurazione e contabilità, come per esempio la contabilità ambientale-economica (System of Environmental-Economic Accounting, o Seea), approccio già utilizzato in alcuni paesi per monitorare diverse materie prime, o l’analisi del bilancio di massa, metodo che tiene traccia della quantità di materiale che entra e esce dai processi di produzione.
Usare i big data
Anche una volta stabilite le misurazioni standard, tuttavia, la sfida non finisce qui: raccogliere tutti questi numeri infatti richiederebbe un ulteriore sforzo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo con infrastrutture normative e di ricerca più deboli. Anche in questo caso, il nuovo trattato potrebbe intervenire sulle capacità di monitoraggio con finanziamenti sulla tecnologia: il telerilevamento tramite satelliti e droni, ad esempio, potrebbe identificare più facilmente le tendenze dell’inquinamento da plastica, riducendo così la necessità di svolgere complesse indagini a terra.
Oceani, risolto il mistero della plastica mancante
È chiaro, inoltre, che i sacchetti di plastica e le microplastiche sono un pericolo per gli ecosistemi e la fauna selvatica, ma la comunità scientifica sta da poco iniziando a capire come calcolarne i rischi. E la volontà del mondo della politica di ridurre i rifiuti di plastica sarà molto più intensa quando verrà assodato che sono una minaccia anche per gli esseri umani. Inoltre, come spiega Karen Raubenheimer, ricercatrice dell’Università di Wollongong, “sarà difficile a breve termine smettere di usare plastica vergine”. Principalmente perché molti suoi utilizzi sono considerati essenziali, come nell’ambito dell’assistenza sanitaria per prevenire la contaminazione e le infezioni, e dell’industria alimentare per evitare che frutta, verdura e altri prodotti si deteriorino.
Il nuovo trattato, quindi, potrebbe chiedere la riduzione o l’eliminazione della plastica vergine, definendola come plastica non necessaria ed evitabile, anche se, dall’altra parte, bisognerebbe concentrarsi sulle modalità per riutilizzare e riciclare i materiali plastici. Attualmente, infatti, si stima che meno del 10% dei prodotti in plastica venga riciclato. Cercare di elaborare il nuovo trattato sull’inquinamento da plastica in soli 2 anni è “molto ambizioso”, ammette il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep). Ma “le persone stanno attuando sforzi per cercare di risolvere questo problema in un modo che non vedevamo dieci anni fa”, conclude Kara Lavender Law, oceanografa presso la Sea Education Association. “Ed è sorprendente”.
Via: Wired.it
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