INVfactor, l’Italia che fa sperare

Alessandro ha un record personale di 4,40 metri, specialità salto con l’asta, e per migliorarsi ha  applicato quello che ha imparato a scuola. No, non nelle ore di educazione fisica ma in quelle di elettronica, per misurare forze applicate e confrontare tecniche di salto con un dispositivo che ha inventato lui. Angela e Graziella pensano che sia un peccato mandare al macero tutte quelle belle arance della loro Sicilia. Ci sarà un modo per ricavare qualcosa di buono dagli scarti, si sono dette. Con la chimica imparata a scuola hanno estratto solventi naturali dalle bucce degli agrumi. Mariangela e Morena vivono nel Salento, ma pensano a chi quelle terre ha lasciato, forse a qualche storia di famiglia, chissà. E allora perché non inventare una comunità virtuale di salentini? Non solo per rimanere in contatto, ma per offrire servizi e sostegno: offerte di lavoro, disponibilità di alloggi, diffusione di prodotti del territorio, promozione di attività gestite dai cittadini. L’hanno chiamata Salentide, un esempio della cosiddetta wikicrazia.

Sono alcuni degli studenti finalisti del concorso INVFactor, ideato dall’Istituto di ricerca sulla popolazione e le politiche sociali del CNR e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, e giunto alla sua seconda edizione. Ogni anno gli Istituti tecnici e professionali italiani sono chiamati a tirar fuori invenzioni nate dalla fantasia e dallo studio. Quest’anno ne sono arrivate 31, di cui 9 giunte in finale. Una partecipazione ampia, definita “inaspettata” da Rossella Palomba del CNR, anima dell’iniziativa.

Ha vinto Gavin 1.0, il robot che gioca a morra, dell’Istituto tecnico «Giua» di Cagliari. È l’idea di un gruppo di ragazzi con la passione per l’Information Technology e con radici ben piantate nella propria terra. Tutto è partito in un laboratorio pomeridiano con gli insegnanti Antonello Zizi e Grazia Chiuchiolo; la lampadina si è accesa sugli algoritmi autoapprendenti. Guido Pintus, Daniele Sechi, Roberto Deiana e Simone Piras hanno pensato come applicare questo studio in modo da raggiungere un vasto pubblico. Niente videogiochi – si son detti – troppo legati a una fascia d’età ristretta: meglio recuperare un vecchio gioco della tradizione sarda, la morra appunto, e costruire un androide auto apprendente contro cui giocare. Scoppola in testa e maglietta da campione di morra, Gavin è molto più simpatico del Deep Blue di scacchistica memoria a cui si ispira. E così gli studenti hanno messo a punto un software, chiamato The Predictor, il cervello dell’automa, in grado di studiare le mosse dell’avversario e prevedere la combinazione numerica più probabile. In pratica, Predictor è l’insieme di ben 9 cervelli separati, ciascuno con una diversa funzione, controllati da un software  che stabilisce di volta in volta quale di loro è più utile. Gavin apprende dal modo di giocare dell’avversario, fino a diventare in grado di predire il numero che sarà lanciato con un successo pari all’80%. L’automa ha il vantaggio di lanciare una sequenza di numeri davvero  casuale, laddove il giocatore umano predilige inconsapevolmente certe combinazioni di numeri. Per alcuni degli ideatori di Gavin, la passione sta diventando un progetto di vita: stanno studiando a Pisa ingegneria informatica e IT.

Una decisa virata verso i serissimi temi della sicurezza sul lavoro per il secondo classificato: l’Istituto tecnico «Da Vinci» di Rimini, i cui studenti (Alessandro Talevi e Alessandro Rinchi seguiti dal professsore Luciano Bianchini) hanno realizzato degli occhiali di sicurezza intelligenti, per limitare gli incidenti oftalmici, molto numerosi, dovuti all’uso di fresatrici, torni, e altri apparecchi. Gli occhiali sono muniti di un sensore che comunica con un sistema di controllo posto sulla macchina utensile, in modo tale che quest’ultima si attivi solo se gli occhiali sono correttamente indossati dall’operatore. In caso contrario il funzionamento dell’apparecchio si interrompe. Per ora, dunque, il dispositivo sembra di applicazione immediata per le attività artigianali, ma gli studenti stanno già lavorando per una modifica da applicare su catena di montaggio, in modo da bloccare solo il singolo operatore inadempiente e non l’intera attività.

Terza piazza per le studentesse delle classi III A e V A indirizzo Chimica dell’Istituto tecnico Cannizzaro di Catania. L’idea centrale del gruppo catanese è di evitare di mandare al macero tonnellate di agrumi che il mercato non riesce ad assorbire; al contrario, dalle bucce di questi agrumi, dagli scarti insomma, si possono ottenere solventi naturali. La buccia d’arancia – per limitarsi alla produzione principale – è ricca di terpeni, composti organici componenti principali degli oli essenziali e delle resine naturali. Essi possono essere utilizzati per produrre solventi e detergenti atossici. A quanto pare, negli Stati Uniti si fa largo l’uso dei terpeni a livello industriale, per esempio nella pulizia di componenti elettronici. I ragazzi catanesi, con l’aiuto del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e dell’Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR, hanno estratto gli oli essenziali con un processo di distillazione in corrente di vapore.

Certo – sottolinea la professoressa Angela Percolla che ha seguito il progetto – non si ottengono grandi quantità di oli: 500 grammi di bucce danno luogo a 2,5 ml di estratto di oli essenziali. Sarà difficile immaginare un processo industriale messo insieme appositamente allo scopo, tuttavia si può pensare di affiancare la produzione di oli essenziali a quella di un’industria di succhi di frutta, in tal caso il processo industriale potrebbe risultare economicamente vantaggioso.D’altra parte, fanno notare le studentesse Angela Finocchiaro e Graziella Mita, in un anno ogni famiglia respira circa 25 kg di solventi da vernici, lacche e idropitture; insomma se i solventi contenuti fossero di origine naturale sarebbe indiscutibile il vantaggio per la salute di ognuno.

Per completezza d’informazione va detto che la commissione giudicante ha attribuito un premio speciale per la creatività femminile alle ideatrici di Salentide (dell’Istituto tecnico economico Costa di Lecce, rappresentate dalle studentesse Mariangela Fanciullo e Morena Ragione e dalla professoressa Elisabetta D’Errico).

Ancora in tema di attenzione alla salute e all’ambiente va segnalato l’ottimo lavoro svolto dall’Istituto tecnico Montani di Fermo sotto la guida della professoressa Teresa Cecchi. Gli studenti Matteo Aloisi, Lorenzo Bisconti, Alessandro Capuano e Leonardo Cicchini hanno ideato un metodo originale per misurare la qualità antiossidante delle creme di bellezza per rapportarla al prezzo. L’obiettivo, spiega Teresa Cecchi, «è di arrivare ad una standardizzazione del potere antiossidante, come si fa per quello foto schermante delle creme solari». Gli studenti hanno studiato la reazione oscillante redox di Briggs Rauscher: hanno scelto un’opportuna miscela oscillante le cui oscillazioni sono dovute alla generazione di radicali liberi e all’alternanza di una fase radicalica e una non radicalica. Normalmente si può tracciare l’oscillogramma del potenziale della reazione oscillante che va verso un naturale spegnimento. Se però alla miscela oscillante viene aggiunto opportunamente un quantitativo di crema da testare, quest’ultimo neutralizza i radicali liberi e, per un certo intervallo di tempo, la reazione oscillante non riparte. Maggiore è il tempo d’inibizione, migliore è il potere antiossidante della crema.

L’approccio dell’Istituto di Fermo evita lo studio analitico di ciascun componente attivo della  crema, ma ne valuta l’efficacia complessiva di contrasto dei radicali liberi. Un approccio olistico, sottolinea Cecchi, che riduce tempi e costi dell’analisi. A Fermo sono andati oltre. Hanno pensato che il metodo poteva essere applicato anche alla misura delle qualità antiossidanti dell’olio e hanno allo studio anche l’idea di estenderlo al vino. Quello che stanno  facendo necessita ovviamente di fondi e, in questo caso, si è innescato un processo virtuoso: la Fondazione Carifermo ha contribuito all’acquisto di un cromatografo liquido per analisi separative, la Provincia ha cofinanziato uno spin off degli allievi e l’impresa che nascerà offrirà alle aziende cosmetiche e alimentari il servizio di misura del potere antiossidante con il metodo messo a punto dalla scuola di Fermo.

Un’ultima annotazione. Alla presentazione dei finalisti a Roma nel settembre scorso si respirava una bell’aria. Allegria e serietà, voglia di divertirsi e di lasciare un segno, di provare a cambiare le cose, qualcosa, con una spiccata attenzione al sociale e all’ambiente. Soprattutto sogni realizzati o in via di realizzazione di un’Italia giovane e vitale, infinitamente lontana da quella delle cronache di questi mesi, che certi adulti (i docenti) hanno saputo cogliere e accompagnare. Un’Italia che fa sperare.

Articolo pubblicato su Sapere. Ecco come abbonarsi alla rivista

Credit immagine: _Aria92_/ Flickr

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