Non giungono notizie confortanti dal rapporto dell’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) sulle fonti rinnovabili in Italia: siamo indietro, il fanalino di coda rispetto agli altri paesi europei e lontani dal raggiungimento degli obiettivi fissati in sede comunitaria per il 2010. Ma ancora in tempo, seguendo politiche mirate, per cambiare rotta su una strada che non è solo preferibile dal punto di vista ambientale ed economico, ma è necessaria e inevitabile nello scenario energetico mondiale. Lo scorso anno le fonti alternative hanno coperto poco più del 7 per cento della domanda energetica nazionale, troppo poco a confronto di quel 22 per cento che il governo si è impegnato a conseguire fra quattro anni. (Per inciso, non raggiungere l’obiettivo significa dover acquistare i crediti di emissione di gas serra, cioè ricompensare economicamente, al prezzo di alcune decine di euro a tonnellata di gas emesso, lo scarto di quote non raggiunte). A fare la parte del leone nelle fonti alternative è il settore idroelettrico, che rappresenta circa il 60 per cento del totale. Seguono biomasse e rifiuti, attestati intorno al 30 per cento, geotermia con il 9 per cento, eolico e solare che non raggiungono complessivamente il 3 per cento. Uno sguardo ai trend di crescita delle energie pulite negli ultimi cinque anni, pur avendo visto un buon incremento nella produzione di biomasse e rifiuti, ci mostra una situazione abbastanza stagnante. Mentre in casa lo sviluppo delle energie verdi fa fatica a decollare, all’estero ci sono paesi come la Danimarca, la Germania, e più di recente la Spagna, dove le fonti rinnovabili sono una realtà vivace e consolidata. Eppure anche nel nostro paese è stata fatta una politica di incentivazione. Che cosa ne è stato? Dove sono finiti i finanziamenti a cui contribuiscono tutti i cittadini con una percentuale delle bollette? “Dei 3.000 milioni di euro erogati complessivamente nel 2004, solo il 40 per cento è stato destinato allo sviluppo delle rinnovabili”, ci spiega Carlo Manna, ricercatore dell’Enea e autore del rapporto. “La restante parte è stata utilizzata per sovvenzionare altre tecnologie indicate come ‘assimilate’ o impianti già esistenti”. In altre parole, le incentivazioni si sono dimostrate più utili a una vasta gamma di settori nel panorama elettrico estraneo alle rinnovabili, che a quello per cui erano destinate. Un bilancio negativo, quindi, quello dell’Enea ma non irreversibile: “Per incrementare il ricorso alle rinnovabili, e guadagnare così nella competitività, nella crescita del settore industriale, nelle prospettive occupazionali, si deve rendere più trasparente il sistema delle regole, semplificare le procedure e abbreviare i tempi per le autorizzazioni. Solo così si potrà determinare un circolo virtuoso tra tecnologie, innovazione e sviluppo industriale”, continua Manna. La ricetta dell’Enea tiene conto, inoltre, di un altro fattore: il consenso e la partecipazione della comunità locale. Perché, come insegnano la mobilitazione della Val di Susa e, ancora prima, quella di Scanzano Ionico, la collettività non accetta piovere dall’alto le decisioni che la riguardano direttamente.