Spesso si sente dire che l’Italia è uno dei paesi “occidentali” agli ultimi posti per numero di investimenti nelle infrastrutture tecnologiche. Che gli italiani non hanno un buon rapporto con il computer e le tecnologie in genere. Che le nostre aziende difficilmente producono innovazione. Tutto vero. A ribadirlo è l’annuale rapporto del World Economic Forum (Wef) da cui esce un verdetto impietoso per il nostro paese. Cuore del documento (The Global Information Technology report 2004-2005) è la classifica che il Wef ha stilato sulle capacità di sviluppo e utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione di tutti i paesi del mondo. L’Italia occupa la 45a posizione (su un totale di 104 stati censiti), dietro a tutti i paesi industrializzati, scavalcata da paesi in via di sviluppo come la Tunisia o il Sudafrica, e davanti di poco a nazioni come la Giamaica e il Botswana. Una débacle totale, soprattutto se si confrontano i risultati del rapporto 2005 con quelli dello scorso anno, quando l’Italia occupava la 28a posizione. Ma quali sono i motivi di questa poco brillante performance? Nel rapporto si legge che i principali fattori sono “un ingombrante clima regolatorio, un’infrastruttura relativamente povera e deficienze in aree quali la qualità del sistema scolastico e i bassi livelli di collaborazione tra settore industriale e accademico”. I voti peggiori si registrano nelle nuove tecnologie nella pubblica amministrazione (dove l’Italia è penultima), nella qualità delle istituzioni di ricerca scientifica (79a) e negli investimenti nella ricerca e lo sviluppo (78a). Unica nota positiva arriva dal settore telecomunicazioni: siamo terzi per la diffusione di telefonini, noni per gli utenti della telefonia fissa e ventunesimi come numero di persone che navigano in Internet.Giunto alla quarta edizione il rapporto del Wef, organizzazione nota per l’appuntamento annuale di Davos (Svizzera) tra i “grandi del pianeta”, si basa su un’analisi di dati che hanno fonti autorevoli come studi della Banca mondiale o dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni. Da queste emerge come il primo posto della classifica del Wef sia occupato da Singapore, che ha scalzato gli Stati Uniti (ora quinti). Dalla seconda alla quarta posizione sono in fila tutti paesi del nord Europa: Islanda, Finlandia e Danimarca.A criticare la classifica (e soprattutto i suoi metodi) è intervenuto ieri il ministro dell’Innovazione Tecnologica Lucio Stanca. Che ha dichiarato: “Ho grosse e fondate perplessità sui risultati e in particolare sulla circostanza che in un anno solo l’Italia possa essere retrocessa dal 28° al 45° posto”. Secondo il ministro i dati non sarebbero attendibili in quanto “queste classifiche non sono fatte su parametri numerici a disposizione, come la percentuale di popolazione che usa Internet, il numero di telefonini per abitante, l’estensione della larga banda, ma sono frutto di una metodologia basata su interviste”. Per dimostrare i suoi dubbi Stanca porta l’esempio della Giordania (44a): “Con tutto il rispetto che ho per questo paese, trovo paradossale che si collochi addirittura davanti all’Italia. Anzi, siamo noi che stiamo dando assistenza al governo di Amman nell’uso di queste tecnologie e so perfettamente che lo stato di utilizzo delle tecnologie digitali in Giordania in termini di tempo è indietro di 15 anni rispetto al nostro paese”. Chi invece è più preoccupato che perplesso di fronte ai numeri del Wef è Assinform (l’Associazione nazionale delle principali aziende operanti nel settore dell’informatica, delle telecomunicazioni e dei contenuti multimediali). “Al di là delle cifre nello specifico”, ci spiega Federico Barilli, direttore di Assinform, “il fatto inconfutabile è che gli altri paesi nel settore dell’Ict (Information and Communication Technology, ndr.), dopo una lunga crisi, hanno ripreso a marciare come ai tempi d’oro, prima dell’esplosione della bolla speculativa di Internet (fine anni Novanta), mentre l’Italia non lo sta facendo. A livello globale il mercato dell’Ict cresce del 5,9 per cento, in Europa del 3,4, nel nostro paese dell’1,5. Il problema è nelle piccole e medie imprese, il cui andamento è decisamente lento. Nel settore “consumer”, invece, i nostri dati ci dicono che stiamo crescendo al ritmo dei principali paesi industrializzati, soprattutto grazie ai telefonini e alla diffusione della banda larga. Il problema è che quest’ultimo settore rappresenta solo il 5 per cento di tutto il mercato dell’Ict”.