Sono passati ormai 37 anni da quando in Italia è stato eseguito il primo trapianto di cuore. A riuscirci era stata l’Azienda ospedale università di Padova, la stessa che oggi ha collezionato un altro importante successo: il primo trapianto di cuore da donatore a cuore fermo, ossia deceduto, da oltre 20 minuti. L’intervento è stato eseguito dal direttore di Cardiochirurgia Gino Gerosa, con la collaborazione di Paolo Zanatta, a capo dell’Anestesia di Treviso, su un paziente uomo di 45 anni, cardiopatico congenito, con già diversi interventi alle spalle e in lista per un trapianto cardiaco dal 2020.
Il trapianto di cuore
In particolare, l’équipe è riuscita a trapiantare un cuore superati i 20 minuti dalla morte cardiaca imposta dalla nostra legislazione. Una vera e propria impresa, quindi, per far ripartire un cuore fermo da tutto quel tempo. “Per primi al mondo abbiamo dimostrato che si può utilizzare per un trapianto cardiaco un cuore che ha cessato ogni attività elettrica da 20 minuti”, ha commentato Gerosa. Un successo che potrebbe portare a un aumento degli organi disponibili al trapianto. “Questo risultato apre alla possibilità di incrementare del 30% il numero di organi disponibili per i pazienti in attesa di un trapianto di cuore”, aggiunge l’esperto.
La donazione a cuore fermo
Come riporta il Centro Nazionale Trapianti, la morte di una persona può essere accertata con criteri neurologici, ossia la morte cerebrale, e con criteri cardiaci. “Al di là della modalità con la quale viene accertata la morte di un individuo, è importante ribadire che la morte è unica e coincide con la totale e irreversibile cessazione di tutte le funzioni cerebrali”, si legge nel documento. “Per determinare la morte con criteri cardiologici occorre osservare un’assenza completa di battito cardiaco e di circolo per almeno il tempo necessario perché si abbia la necrosi encefalica tale da determinare la perdita irreversibile di tutte le funzioni encefaliche”. Nel nostro Paese, la donazione a cuore fermo può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte tramite un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno 20 minuti (nella maggior parte dei Paesi europei questo tempo è di 5 minuti).
Il cuore artificiale
Per la nostra legislazione, quindi, il cuore deve aver smesso di battere per 20 minuti e a quel punto l’organo del deceduto può essere perfuso, valutandone la funzionalità, e dare il via alle porcedure del trapianto. “Ci sono Paesi in cui l’attesa dopo lo stop del cuore è di 2, massimo 5 minuti, qui in Italia ne sono previsti 20”, commenta Gerosa al Mattino di Padova. “Quindi abbiamo studiato e lavorato intensamente per superare questo ostacolo e abbiamo dimostrato che anche in Italia si può fare questo tipo di trapianto”. Ora, tuttavia, bisogna guardare avanti: “finché non metteremo a punto un cuore artificiale meccanico non avremo risolto il problema”, conclude l’esperto.
Via: Wired.it
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