“La matematica non delude mai” diceva il protagonista del film di François Ozon Dans la maison (Dentro la casa, nella versione italiana). Con lo stesso intento, anche se dal titolo non si direbbe, un regista francese di documentari, Olivier Peyon, ha realizzato il docufilm Comment j’ai détesté les maths, ma lo scopo non è mostrare il disgusto per la matematica. L’idea infatti è l’esatto contrario: intervistare matematici di diverse parti del mondo e cercare di far capire come la matematica possa essere una attività interessante, fantasiosa, creativa. Insomma mostrare il fascino e la bellezza della matematica, cominciando con le opinioni di un certo numero di studenti che ovviamente nella stragrande maggioranza la matematica la odiano, per il suo formalismo, per la sua astrattezza. Anche perché la matematica, per la sua logicità ed esattezza, viene sistematicamente utilizzata per selezionare gli studenti, per decidere chi dovrà accedere alle migliori università, chi avrà una migliore possibilità di far carriera.
All’inizio del documentario parla la psicopedagoga Anne Siety che si occupa da anni dell’ansia, del rifiuto, della vera e propria angoscia e del blocco che prende soprattutto i ragazzi più giovani quando entrano in contatto con la matematica. Il rifiuto totale per non dover essere messi alla prova, non doversi confrontare con gli altri e con se stessi, con un tipo di ragionamento che non ammette errori ed esitazioni. Insomma la matematica come rito di iniziazione alla vita adulta e da qui il gran rifiuto di accettarne le regole.
Molto più interessante e preciso Jean Dhombres, da anni apprezzato storico della matematica francese, che ha iniziato ricordando che la matematica ha una sua storia fatta di successi e di fallimenti, che l’astrazione della matematica è una delle chiavi del suo successo, per poter applicare risultati e procedimenti simili in processi e problemi molto diversi.
Interessanti anche gli argomenti di cui parla Jean Pierre Bourguignon, per anni direttore dell’Ecole des Hautes Etudes Scientifiques di Parigi e da poco eletto presidente del ERC, European Research Council. Bourguignon ha tra l’altro organizzato la mostra su matematica ed arte alla Fondation Cartier di Parigi nel 2012. Alla mostra tra l’altro erano proiettate una serie di interviste a matematici famosi che parlavano della loro vita con la matematica. Un’idea che era stata già utilizzata in un documentario realizzato nel 2001 per l’apertura della Città della Scienza di Napoli e nell’ambito de la Citè des Sciences de la Villette, inaugurata a Parigi nel 1986.
Tra i protagonisti della mostra di Bourguignon e del documentario non poteva mancare Cedric Villani, vincitore della medaglia Fields nel 2010 (lo ricordiamo: non esiste il Nobel per la matematica). Villani è un personaggio molto famoso in Francia, non solo per la sua attività di matematico (è tra l’altro direttore dell’Institut Henri Poincaré di Parigi) ma anche perché è un tipo molto fantasioso ed estroverso, un vero personaggio, con quella grande spilla a ragno che porta sempre, i capelli a caschetto, il grande fiocco alla Oscar Wilde. Negli ultimi anni si è molto dedicato alla diffusione della cultura scientifica e matematica in Francia, e per tutti questi motivi non poteva mancare nel docufilm. Viene ripreso in diversi momenti della sua vita, compresa la consegna della medaglia Fields a Hyderabad in India in occasione del congresso mondiale di matematica.
Larga parte nel film è dedicata all’insegnamento della matematica nella scuola e quindi agli insegnanti. Chi appare nel film è un docente appassionato, François Sauvageot, che cerca di collegare in ogni modo la matematica con le attività della vita quotidiana. Cosa che funziona solo per pochissime e molto elementari cose. Non si può fare a meno della astrattezza in matematica! Altrimenti si sta prendendo in giro gli studenti.
Altra idea è di mostrare i matematici nei luoghi del loro lavoro. Ed ecco allora l’MSRI, Mathematical Sciences Research Istitute di Berkeley, ed il geometra Robert Bryant, molto efficace nel mostrare l’utilità e la bellezza della matematica. Ed ecco il MFO, Mathematisches Forschungsinstitut a Oberwolfach, nel sud della Germania, fondato durante la guerra nel 1944, dove i matematici di tutto il mondo si ritrovano in piccoli gruppi per discutere e confrontare le loro ricerche nei diversi settori. Con immagini di matematici che camminano nella neve, che fanno finta di perdersi, che cercano i percorsi minimi, con Villani sempre a piedi nudi. E con la colonna sonora che spara musica country.
Naturalmente di matematica si parla poco, quando ad un certo momento si accenna allo spazio delle funzioni L2 il sonoro sfuma. Due matematici italiani discutono tra di loro ma non si sente cosa dicono, ed alla fine parte un cha cha cha!.
Deve dire che rispetto alla descrizione dell’ambiente dei matematici risulta più convincente quello finto, tutto ricostruito di A Beautiful Mind per non parlare di quel vero capolavoro di film che è Fermat’s Last Theorem dove i veri matematici che hanno partecipato all’avventura della dimostrazione de L’Ultimo Teorema di Fermat, Andrew Wiles in testa, contribuiscono con il regista Simon Singh a costruire una vera ed avvincente trama basata sulla loro storia. Una vera emozione, che manca totalmente nel documentario francese.
Una cosa affermano in molti nel film francese. Per essere creativi, per risolvere problemi che nessuno ha mai affrontato, ci vuole tempo, si commettono errori, si cercano nuove direzioni. E la formazione scolastica deve servire non a creare matematici, ma a dare la capacità di essere riflessivi, fantasiosi, creativi. Bourguignon afferma a proprosito della Cina, una realtà che conosce bene: “I Cinesi hanno investito e continuano ad investire molto nella formazione di base, senza preoccuparsi troppo delle cosidette connessioni con la realtà ed il mondo del lavoro.” Quante chiacchiere inutili si continuano a ripetere sui legami tra l’educazione e il mondo del lavoro!
La fantasia, la passione per la ricerca nasce dagli stimoli che sono stati dissemintati nel teste dei ragazzi al momento della formazione. Facendo magari anche cogliere qualche sprazzo della bellezza del ragionamento matematico. Il matematico già citato Bryant, per esempio, parla della scultura davanti al MSRI, Eightfold Way di Helaman Ferguson (l’autore, non citato nel film, interessante artista e matematico Usa) che è ispirata alla Quartica di Klein. E si emoziona davanti a quella forma che rappresenta la fisicità della bellezza racchiusa in una forma.
Ad un certo punto del film si ha un brusco cambio di scena. Non si poteva non parlare della crisi economica, dei modelli matematici per la economia, i grandi accusati per la crisi economica devastante che ha colpito il mondo. Due gli interlocutori: George Papanicolaou, matematico economista, nato come matematico puro (e sottolinea Villani che oramai la distinzione non ha alcun senso) e Jim Simons, prima matematico e poi affarista miliardario che ha realizzato e venduto algoritmi matematici per l’economia, che secondo Papanicolaou non erano abbastanza testati (non si sapeva come avrebbero reagito in situazioni di emergenza, sulla base di dati statistici ancora poco significavi). L’informatico affarista parla di questa fantomatica matematica economica che si regge su questi maledetti algoritmi che hanno mandato in malora l’economia globale, ma che hanno reso lui miliardario, speculando sulla finanzia virtuale. Non è molto convincente (in malafede?) come se non ci sia stato chi dalla gestione della crisi non ha largamente guadagnato (lui stesso), come se nessuno pilotasse in nessun modo la economia globale, come se la economia matematica fosse una sorte di divinità irraggiungible e sconosciuta che non si riesce a dominare. Una non spiegazione che lascia molto perplessi.
Il film nel finale è divenuto così una sorta di inchiesta sulla gestione matematica dell’economia. Del tutto in contrasto con tutto quello che era stato detto sino a quel momento: la bellezza, il fascino, la passione, l’astrazione. Sembra un altro film. E’ questo il peggior difetto del film: assemblaggio di materiali, a volte interessanti, senza alcuna regia.
Dopo l’ondata di pessimismo sulla matematica per l’economia con il matematico greco Papanicolaou che si commuove per la situazione del suo paese di origine, arrivando, lui sì, a pronunicare la parola morale assente nei discorsi di Simons, in due minuti arriva una rapida conclusione del film. “Non usate formule, non ripetete, usate la testa. La matematica deve essere guidata dal dubbio, dalla ricerca per tentativi, per insuccessi.” Ritornano insomma la matematica e la libertà.
In conclusione direi che nel film ci sono troppe parole e pochi veri argomenti che spingono ad interessare alla matematica. E ancora è lungo, troppo lungo, troppo raccontato e parlato, con immagini e colonna sonora molto spesso fuori registro. In cui le argomentazioni restano un poco vaghe, non si concretizzano quasi mai in una spiegazione efficace della utilità della matematica, della sua efficacia, della sua bellezza. Come invece accadeva a livello di avventura umana nel film di Singh.
Tranne un momento in cui un simpatico matematico statunitense, Eitan Grinspun, racconta e finalmente fa vedere le immagini di come è stato risolto il problema di come cascano gli spaghetti nell’acqua. Un problema ridicolo si dirà. E invece no. E’ il problema di come, con quale angolo, con quale velocità si devono fare cadere i grandi tubi che collegano i continenti nel fondo degli oceani. Studiando un modello in cui si fa cadere del caramello semiliquido su un nastro trasportatore si è visto che il fluido si avviluppava in nodi o restava liscio a seconda della velocità del nastro. Dagli esperimenti si è costruito un modello che è poi stato testato sui grandi cavi transoceanici. Perché se si avvolgono troppo si possono rompere, può non passare il contenuto (liquidi, fibre ottiche), si devono evitare i danni. Studiando appunto come si devono far cadere gli spaghetti nell’acqua bollente. Un modello divertente, con immagini molto utili e stimolanti, con la spiegazione del matematico concisa, divertita ed attraente. Ma sono solo cinque minuti del film.
Comment j’ai détesté les Maths, docufilm di Olivier Peyon, 1h 43 m, Francia, 2013.