Conservate in ottimo stato sotto strati di ghiaccio. Sono le ossa dei pinguini di Adélie vissuti oltre settemila anni fa sulle rive del Mare di Ross in Antartide. Non poco, visto che contengono le sequenze di Dna meglio preservate tra quelle arrivate ai giorni nostri. La scoperta, pubblicata su Science, è frutto di un progetto di ricerca italo-neozelandese che ha consentito ai geologi dell’università di Pisa di ricostruire le condizioni ambientali esistenti sette millenni fa e ai biologi delle università di Massey e di Auckland di calcolare il tasso di evoluzione degli uccelli.
“I pinguini”, ha affermato Carlo Baroni, docente di geomorfologia presso l’università di Pisa e co-firmatario dello studio, “costruiscono nidi molto piccoli, dal diametro di appena 50 centimetri , trasportando col becco piccoli ciottoli. Decine, talvolta centinaia di migliaia di nidi. Ci siamo occupati di loro anche in passato, ma la novità di questo studio è nel ritrovamento di oltre 15 colonie abbandonate”. Le ossa fossili di questi animali si sono conservate così bene perché “in Antartide le basse temperature fanno da freezer. Per di più in luoghi particolari, come le colonie dei pinguini, il guano, ovvero gli escrementi degli uccelli, si è accumulato nel sottosuolo rendendolo impermeabile. Ovviamente, maggiore è il tempo di esistenza di una pinguinaia, maggiore è l’accumulo di ciottoli (i nidi vengono infatti rinnovati ogni anno) e di detriti organici (frammenti di uova, di penne, di piccoli predati) mischiati a sabbia e ghiaia”.
La datazione al carbonio 14 delle colonie ha permesso di individuare “un momento (dai tre ai sei mila anni fa circa) di massima occupazione da parte dei pinguini di Adélie nel Mare di Ross, quindi la presenza di condizioni favorevoli all’insediamento degli uccelli. E conseguentemente anche il momento in cui si sono ritirati, coincidente con il ritiro dei ghiacciai dalle coste”. E’ a questo punto che i biologi neozelandesi si sono inseriti nella ricerca. Particolarmente interessati all’Antartide per vicinanza e per cultura, e lavorando da tempo sul Dna dei pinguini moderni, hanno eseguito nuovi scavi in 13 zone abitualmente nidificate da questi animali.
“Abbiamo analizzato”, dice David Lambert, dell’Istituto di bioscienze molecolari della Massey University, “in 96 ossa fossili, la porzione di Dna chiamata “prima regione ipervariabile” (Hvri) mitocondriale, e l’abbiamo poi confrontata con i campioni di sangue di 380 esemplari attualmente viventi nella stessa area”. L’Hvri è quella regione del genoma mitocondriale coinvolta nella fase iniziale della replicazione del Dna. “Essa viene trasmessa dalla madre ai figli senza subire ricombinazioni, senza cioè la partecipazione del Dna mitocondriale paterno. Subisce però nel tempo un gran numero di mutazioni spontanee”. Per questo, il Dna dei mitocondri viene equiparato a una sorta di “orologio molecolare” usato per stabilire le differenze genetiche e quindi la distanza evolutiva tra due organismi.
Nell’esperimento in questione sono stati così identificati “molti aplotipi mitocondriali (combinazioni di particolari variazioni nucleotidiche nel tratto di Dna considerato), alcuni estinti, altri presenti nelle specie attuali”. Questo spiega “l’alto tasso di omoplasia riscontrata nella sequenza di Hvri degli antichi pinguini e di quelli viventi (ovvero la presenza di una stessa caratteristica in più specie, non descritta tuttavia nel più recente antenato comune)” e conferma, infine, che le mutazioni genetiche verificatesi negli ultimi sette mila anni sono state numerose e veloci. In altre parole: “il tasso di evoluzione dei pinguini di Adélie stimato per milione di anni si è rivelato tra le due e le sette volte più rapido di quello che si era finora pensato”.