Quasi 30 mila opzioni diverse fra cui scegliere. C’è da perdere la testa, si potrebbe dire. Ma gli italiani che vogliono finanziare la ricerca con il 5 per mille della loro imposta sul reddito dovranno tenere i nervi saldi. Da quest’anno, infatti, è possibile destinare una seppur minima quota delle tasse pagate a enti, istituti, e università che conducono ricerca scientifica. Attenzione, non si tratta di una modifica della normativa sull’8 per mille, ma di un’iniziativa aggiuntiva: altra norma, diverso modulo. “Si tratta di una legge furbissima”, sottolinea Giulio Vallocchia, presidente dell’associazione No God, impegnata nei mesi scorsi nella raccolta di firme per la modifica della legge 222 del 1985 che destina una quota del gettito Irpef al finanziamento delle varie chiese. “In questo modo il ‘bottino’ della Chiesa cattolica è stato preservato e la nostra iniziativa è stata depotenziata, senza peraltro risolvere il problema del finanziamento alla ricerca”. Già, perché con una gamma così ampia di possibili destinatari della donazione, divisi in quattro categorie – volontariato, ricerca scientifica, ricerca sanitaria, attività sociali svolte dai comuni -, e l’oggettiva difficoltà che i cittadini incontreranno nel dover scrivere il codice fiscale dell’associazione prescelta nella casella giusta, quella cioè che corrisponde alla categoria di riferimento, la dispersione rischia di essere massima. Da un calcolo sommario, sulla base di quanto incassato nei primi anni di istituzione dell’8 per mille, dividendo in parti uguali il finanziamento per tutti gli aventi diritto si arriverebbe a circa 9 mila euro per ogni associazione, ente, università. Le quote non assegnate, quelle cioè relative ai cittadini che non esprimeranno alcuna preferenza, andranno ridistribuite come nel caso dell’8 per mille: in maniera proporzionale alle donazioni accumulate con le preferenze. In altre parole, chi ha più sostenitori riceve una parte maggiore delle quote non assegnate.Fra i circa 30 mila pretendenti ci sono delle differenze. Prima di tutto le quattro liste in cui sono divisi hanno origini diverse: due sono state stilate direttamente dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e dal quello della Salute – Università e soggetti che svolgono attività di ricerca scientifica e soggetti che svolgono attività di ricerca sanitaria -, il terzo invece, quello del volontariato, è stato affidato alla autocertificazione, ed è per questo il più numeroso: entro il 30 giugno 2006 chi è ha richiesto di entrare nella lista dovrà far pervenire la documentazione che attesta i requisiti richiesti. Infine, si può decidere di destinare la propria quota alle attività sociali del comune di residenza. Ma ci sono state amministrazioni che hanno già annunciato di rinunciare all’opportunità: il comune di Bologna, per esempio, ha fatto sapere di non voler entrare in concorrenza con altre associazioni e onlus parimenti meritevoli di ricevere la donazione.Remora che invece altri non si sono posti. A scorrere le liste, disponibili sul sito del Ministero delle Finanze, si resta stupefatti della quantità e varietà di soggetti compresi: nella lista, compilata dal Miur, di chi svolge attività di ricerca scientifica si trovano enti e associazioni che svolgono formazione professionale, e non si trova invece la Fism, Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, l’unica in Italia a condurre ricerca su questa malattia; in quella relativa al volontariato ci si imbatte in una pletora di gruppi sportivi.Insomma, chi pensava che l’appello per il finanziamento alla ricerca scientifica fosse stato anche solo in parte accolto rischia di rimare deluso. E che la norma sia perfettibile lo dimostra anche il fatto che sia stata istituita “in via sperimentale” per il 2006. C’è quindi chi auspica una sua revisione, a partire dalla redazione ex novo seguendo criteri scientifici delle liste e dall’istituzione di controlli più severi per stabile chi entra e chi no fra i beneficiari; una sua semplificazione e una sua maggiore pubblicizzazione. La prima data utile per far valere il diritto a destinare il 5 per mille è infatti già passata (il 15 marzo scadeva il termine per la presentazione del modello Cud), sostanzialmente sotto silenzio. Ma la vera battaglia è quella che si gioca sulle scadenze di maggio-giugno, quando la maggior parte degli italiani consegnerà la dichiarazione dei redditi. E i pretendenti stanno già affilando le unghie.