Robert N. Proctor
La guerra di Hitler al cancro
Raffaello Cortina, 2000
pp. 452; 49.000 lire
“Questo è un libro di storia della medicina, ma è anche un libro sulla politica del corpo: la politica nazista del corpo”. Così Robert N. Proctor, storico della scienza della Pennsylvania State University definisce la sua opera. E’ l’agosto del 1941 e Adolf Hitler si prepara a sferrare due feroci offensive. Una, denominata Operazione Barbarossa, contro L’Unione Sovietica di Stalin che impegnò le truppe tedesche lungo un fronte di oltre 300 mila chilometri e produsse in poche settimane migliaia di morti. L’altra contro un nemico più evanescente ma altrettanto pericoloso: il cancro. Infatti se ormai sono noti gli orrori compiuti dal terzo Reich in campo medico – dalla sterilizzazione all’eutanasia, alla sperimentazione illegale, all’igiene della razza – è meno conosciuto il fatto che gli “attivisti della salute pubblica” adottarono per primi misure paragonabili alle attuali politiche di diversi paesi. Il culto nazista per il corpo arrivò a promuovere uno stile di vita molto simile a quello contemporaneo, soprattutto in tema di salute con campagne contro il fumo e divieti sul tabacco, i pesticidi, i conservanti. Per quanto riguarda i prodotti alimentari, il regime contrastò gli eccessi di grassi in favore di cibi sani e naturali: nel campo di Dachau, i prigionieri producevano miele biologico, la soia venne ribattezzata “soia nazista” e ai fornai venne imposta la produzione di pane integrale.
I provvedimenti non si limitarono alla prevenzione, ma coinvolsero anche la ricerca medica. Il libro si concentra soprattutto sul cancro che, secondo Proctor, veniva percepito come un simbolo, “una malattia della modernità, della società, non ancora sconfitta”. Lo conferma anche il linguaggio usato all’epoca per parlare del male del secolo: gli ebrei venivano paragonati a dei tumori e i tumori erano definiti ebrei. Questa malattia, dunque, nel libro diventa la cartina di tornasole di alcune caratteristiche socio-culturali del regime. Secondo lo studioso americano, l’adesione della popolazione alla causa hitleriana può essere giustificata non solo con l’antisemitismo, ma anche con l’ansia di rigenerazione dei tedeschi. E le misure sanitarie del regime erano una pronta risposta a questo stato d’animo.
Nel libro si ricostruiscono in maniera documentata gli studi sul cancro dell’epoca precedente al nazismo, e gli sforzi compiuti in epoca guglielmina e durante la Repubblica di Weimar per combatterlo. Quindi si analizzano le teorie genetiche e razziali del cancro elaborate dai nazisti e la persecuzione subita dai ricercatori ebrei. Altro argomento centrale è la politica nazista dell’alimentazione e del corpo, nonché la campagna contro il fumo. Il corpo del Fuhrer divenne uno strumento di propaganda per diffondere tra le masse uno stile di vita sano. Quando poi alle preoccupazioni salutistiche si affiancarono quelle della guerra, anche l’alcool, il caffè e il tè diventarono oggetto di lotta ideologica. I nemici Stalin e Churcill fumavano, ma non il Fuhrer. Contro il fumo in particolare la Germania nazista ingaggiò una lotta senza quartiere e sviluppò una approfondita epidemiologia delle malattie provocate dal tabacco.
Il libro si conclude con un capitolo dedicato alla scienza nel periodo bellico e postbellico, anni in cui l’ottimismo in tema di salute pubblica fu notevolmente ridimensionato. Senza trascurare la complicità della scienza con il regime, Proctor esamina la complessità del fenomeno: accanto agli orrori della medicina nazista, infatti, lo studioso americano sottolinea le scoperte della ricerca medica e le misure pionieristiche adottate da Hitler. Ciononostante, il libro non riesce a privare la “scienza della qualità” promossa dal regime, dell’alone di fenomeno inquietante e ambiguo di cui è rivestita.