Nell’oscuro futuro dell’energia elettrica di certo c’è solo che la richiesta mondiale è destinata a continuare ad aumentare vertiginosamente nei prossimi anni, e con essa il costo del petrolio. Le energie alternative rinnovabili rappresentano oggi una quota molto bassa del totale di energia prodotta. Ma secondo il Commissario straordinario dell’Ente nazionale energia e ambiente (Enea), Luigi Paganetto, che ha aperto ieri a Roma il workshop “Il fotovoltaico, sviluppo della ricerca e opportunità per l’industria”, tale quota è destinata crescere e, nei prossimi decenni, il solare fotovoltaico sarà la tecnologia dominante tra quelle alternative.
I pannelli fotovoltaici convertono l’energia solare direttamente in energia elettrica primaria e possono essere distribuiti sul territorio in modo capillare per rispondere all’aumento di domanda, da pochi watt a decine di megawatt. Spinta dalle prime crisi petrolifere e dalle politiche ambientali, negli ultimi quindici anni la tecnologia del fotovoltaico è cresciuta globalmente di oltre il 30 per cento (con un’impennata negli ultimi cinque anni). Ma responsabile di questa crescita è stato soprattutto il Giappone. In Europa praticamente la sola Germania ha investito massicciamente sul solare, installando una potenza di oltre 1400 MW, circa cinque volte maggiore degli altri più grandi Paesi europei. Le strategie di incentivazione del Giappone e Germania si sono tradotte in un’espansione del settore tecnologico, con il trasferimento delle conoscenze dai laboratori alle imprese.
E da noi? In Italia la situazione e la produttività sono rimaste pressoché immutate negli ultimi anni, al di sotto dei 40 MW. Entro la fine di settembre sarà pronto lo schema del nuovo decreto per gli incentivi al fotovoltaico. Secondo Fabio Fabbri, presidente della Commissione nazionale per l’energia solare presso il Ministero dell’Ambiente, bisogna riscrivere un conto energia (il piano di incentivi per favorire chi installa impianti fotovoltaici) che ci avvicini al modello tedesco. “I criteri di accesso e i contributi vanno ridefiniti perché il piano in vigore (che prevedevano 45 centesimi per ogni chilowattora installato) ha scatenato una corsa ai finanziamenti per costruire grandi impianti mal utilizzati” spiega Fabbri. “Inoltre dal 1991 il cinque per cento della nostra bolletta in teoria è destinato alle energie rinnovabili, ma il 70 per cento di quei fondi finisce in tutt’altro, e si parla di 2,5 miliardi di euro”.
“La rete di piccole realtà industriali presente in Italia potrebbe giocare un ruolo chiave nella diffusione di questa tecnologia, che può soddisfare il fabbisogno energetico di un piccolo impianto produttivo a costi contenuti” spiega Gianni Silvestrini, responsabile scientifico del Kyoto Club.
Oggi l’energia prodotta con il fotovoltaico costa più dell’energia tradizionale, ma il suo prezzo dovrebbe diminuire drasticamente in uno o due decennti. Il costo di produzione varia, a seconda delle condizioni di insolazione e del tipo di applicazione, tra 20 e 60 centesimi di euro per chilowattora, ovvero da tre a cinque volte di più rispetto al costo dell’energia convenzionale. Circa il 45 per cento del prezzo è dovuto al materiale fotosensibile che, a livello industriale, ha efficienze di conversione del 14-15 per cento (dal cento per cento di energia solare si ricava il 15 per cento di energia elettrica).
La maggiore diffusione prevista per il prossimo decennio pone però il problema della disponibilità della materia prima. “La tecnologia per i pannelli in commercio si basa sul silicio cristallino”, spiega Franco Roca, fisico dell’Enea, esperto in materiali fotovoltaici innovativi “Sul nostro pianeta la riserva di silicio è praticamente illimitata, ma per essere utilizzato, il silicio deve prima essere purificato, procedimento che fa lievitare il prezzo. Poi lo si deve assottigliare per ottenere film spessi circa 200 micron, con una perdita del 30 per cento del materiale”.
La purificazione dal silicio grezzo (per esempio contenuto nel quarzo) al silicio metallurgico si fa in Cina dove i prezzi di manodopera sono più contenuti (circa uno o due euro al chilogrammo) e si ottiene una purezza del 99 per cento, che non è ancora sufficiente. Se il silicio non è abbastanza puro infatti le cariche elettriche si ricombinano, quindi il materiale viene sottoposto a un altro processo chiamato “riconversione”.
La mancanza della materia prima (dovuta anche alla grande richiesta di silicio da parte dell’industria elettronica) spinge verso la realizzazione di film sempre più sottili. Al tempo stesso apre le porte alla ricerca di altri materiali, come il tellurio di cadmio (oggetto di quattro brevetti ottenuti quest’anno da ricercatori dell’Università di Parma), che però solleva il problema dello smaltimento a causa della sua alta tossicità.
Un’altra strada è quella di cercare materiali completamente nuovi: ci sono due filoni di ricerca, uno che si basa su materiali organici (le celle polimeriche) che hanno costi bassi, ma sono facilmente degradabili, e un altro che riguarda materiali inorganici ad altissimo rendimento ma molto più costosi. In quest’ultimo caso per abbassare il costo bisogna cercare di ridurne le dimensioni e mettere a punto lenti che amplifichino la radiazione solare. Stesso discorso per la tecnologia basata sull’arseniuro di calcio, già utilizzata nell’ingegneria aerospaziale.
L’Enea ha fatto i maggiori investimenti nei settori di ricerca che riguardano la concentrazione della luce, e la produzione di celle di nuova generazione.
Tutti gli scenari previsti, in realtà potrebbero però essere stravolti nel giro di cinque anni, considerando che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sta investendo oltre 50 milioni di dollari nelle nuove tecnologie del fotovoltaico. Probabilmente i pannelli che forniranno energia nel prossimo futuroo si baseranno su materiali non ancora inventati.