“Il musicista è visto spesso in chiave romantica. Il numero e la matematica, invece, facilmente ci sembrano lontani dalle ragioni del cuore. Ma la contrapposizione è solo apparente. Prendiamo per esempio Bach. La sua musica è intessuta di piccoli e magnifici giochi”. Parola del maestro Claudio Astronio, clavicembalista all’Accademia europea di musica antica di Bolzano, ma anche attento osservatore dei rapporti tra matematica e musica. L’interesse per le relazioni tra queste due discipline a prima vista lontane è stato sempre assai vivo. Gottfried Leibniz, grande filosofo e matematico del ‘700, intendeva la musica come “la matematica dell’anima”. Mentre più di recente il premio Pulitzer 1980 per la saggistica è stato assegnato a “Goedel, Escher, e Bach”, best-seller di Douglas Hofstadter, che approfondisce appunto i rapporti i numeri del matematico Kurt Goedel, i disegni di Maurits Cornelis Escher e le note di Johann Sebastian Bach. Ma l’argomento, ben lontano dall’essere esaurito, riserva sempre nuove sorprese. In occasione dei 250 anni dalla morte di Bach, il 24 giugno scorso si è svolto nella Sala Filarmonica di Rovereto di Trento il convegno “Bach, un’offerta metamusicale. Analogie, simmetrie e giochi formali”, organizzato da Agimus in collaborazione con l’Istituto trentino di cultura.
“Quel che in genere apprezziamo della musica è l’aspetto estetico, ma c’è tutta una impalcatura dietro”, afferma Astronio. “Bach, in particolare, sapeva creare un equilibrio magico tra struttura matematica rigorosa e creazioni giocose della fantasia. Ogni concertista deve esserne ben consapevole, per poter rigenerare con lo strumento quella corrente di emozioni, fedi e passioni che è propria non solo del compositore, ma anche della sua epoca”. Il pubblico presente nella Sala Filarmonica di Rovereto, il 24 giugno scorso, ha potuto così iniziare insieme ad Astronio un affascinante viaggio dall’altra parte del leggio.
Johann Sebastian Bach visse in un’epoca di forte razionalità, accanto a grandi fisici e matematici come Newton e Leibniz. Nacque alla fine di un secolo, il XVII, del tutto sconvolto dalle affermazioni di Galileo sull’universo, che avevano dato un fervore nuovo al pensiero scientifico. Ma era anche un’epoca in cui la fede e la tradizione religiosa intessevano fittamente la vita quotidiana. La devozione di Bach verso la scienza si fuse così con quella verso la Chiesa. E si riversò nelle sue opere attraverso l’uso di un simbolismo numerico occulto, nascosto tra le righe del pentagramma. Per fare qualche esempio: il numero 1 era il simbolo della perfezione, il numero 2 rappresentava il dualismo della Creazione (terra e cielo, luce e buio, materia e pensiero), il 3 era il simbolo della trinità (la Trinità divina, ma anche passato, presente e futuro), mentre il 9 era il simbolo della rinascita, dell’espansione dei sensi.
Astronio, confessando con un sorriso di non sentirsi un grande oratore, ha aperto in sala gli spartiti dell’antico musicista, puntando il dito in particolare sulla terza parte del “Klavieruebung”. E ha cominciato a svelarne qualche segreto. Contando le battute che formano i motivi melodici soggetti a variazioni (temi), ci si accorge che sono sempre tre o potenze di tre (per esempio 9, 27 e così via). Il numero 3 ricorre dunque con molta insistenza, in questa ma anche in molte altre opere dell’artista. “I riferimenti numerici avevano una importanza fondamentale a quei tempi”, spiega Astronio, “creavano unità tra l’uomo e il Creatore, tra il microcosmo umano e la tendenza verso l’infinito”.
L’abilità che il grande artista dimostrava nei confronti dei giochi numerici gli servì anche per mettere la sua firma sulla musica che componeva. Ma non solo in fondo al foglio. Per esempio, il tema “Si-bemolle, La, Do, Si” ricorre in tutta la terza parte del “Klavieruebung”. Ma secondo la notazione inglese, che identifica ogni nota con una lettera, lo stesso tema si scrive “B, A, C, H”. Anche le celebri variazioni Goldberg celano un sofisticato simbolismo. Nell’aria iniziale vi sono tre variazioni minori, ventotto maggiori e una in chiusura. Dunque: 3, 2, 8, 1. Ma ricorrendo alla gemmatria, che identifica le lettere con la loro posizione nell’alfabeto, si ritrova C, B, H, A. Non solo: l’effetto grafico delle quattro lettere, nella scrittura di Bach, è quello di un quadrato, la forma perfetta. E non è finita. Il numero 14, cioè 3+2+8+1, si presenta con insistenza: nella “Fuga in mi minore”, il tema ricorre 14 volte e 14 sono le note della prima riga del corale per organo “Con ciò mi presento davanti al tuo trono”, mentre l’intera melodia ne conta 41. Che non solo è il rovescio di 14, ma è anche la somma di 9+18+14: J, S, Bach.
Preciso intento, o casualità? “Preciso intento, sicuramente”, conclude Astronio. “Bach sapeva bene quello che faceva, anche se purtroppo non ci ha lasciato niente di scritto in merito. L’idea che ci fosse un significato metaforico e cabalistico nelle opere di Bach è nata dopo aver osservato che certe figurazioni grafiche si ripetevano in tutte le sue opere, e che il grande artista sembrava preferire certi numeri rispetto agli altri”.