Materia oscura, si (ri)parte. C’è chi dice che si manifesta sotto forma di particelle debolmente interagenti, chi per spiegarla scomoda un “universo specchio”, chi parla addirittura di “relitti dello spazio-tempo”. Fatto sta che, al momento, secondo le teorie più accreditate la materia oscura – qualsiasi cosa sia – dovrebbe rappresentare circa l’85% della materia totale dell’Universo, eppure non l’abbiamo ancora vista direttamente. Mai dire mai, comunque: alle decine di esperimenti in corso in tutto il mondo se ne è appena aggiunto un altro, probabilmente il più ambizioso mai tentato. Si chiama Lux-Zeplin (Lz), è costato sessanta milioni di dollari e si trova nelle profondità del South Dakota, in un’ex miniera d’oro. Gli occhi di Lux-Zeplin, hanno appena raccontato i ricercatori che fanno parte della collaborazione internazionale che lo coordina (250 scienziati provenienti da 35 diversi istituti di ricerca), si sono aperti due mesi fa per cominciare a raccogliere le prime informazioni. Risultati, al momento: zero. Ma gli scienziati sono fiduciosi che nei prossimi mesi le cose potrebbero cambiare.
Dov’è tutta questa materia?
Il motivo di tanto affanno nella ricerca di questa elusivissima “materia oscura” è presto detto. Da molto tempo, infatti, diverse osservazioni sperimentali (in particolare relative alla velocità di rotazione delle stelle attorno alle galassie) hanno mostrato che l’Universo non può essere composto dalla sola materia “ordinaria”, quella i cui componenti sono descritti dalle equazioni del modello Standard delle particelle elementari, l’impianto teorico al momento più solido per descrivere la natura e le interazioni di tutto quello che ci circonda. Per quanto bellissimo, insomma, il Modello Standard sembra essere incompleto: l’unico modo per colmare questa lacuna è assumere che esista anche un altro tipo di materia, che si comporta diversamente da quella ordinaria e che sfugge alle osservazioni, e a cui proprio per questo i fisici hanno attribuito l’aggettivo oscura. In particolare, oggi si stima che per ogni protone, neutrone e altra particella di materia ordinaria ce ne debbano essere almeno altre cinque di materia oscura. Che per l’appunto dovrebbe costituire circa l’85% della materia presente nell’Universo, e circa il 27% della sua massa totale. Ma dove si trova? E perché non l’abbiamo ancora mai vista? Il problema è che le particelle di materia oscura, per quel che sappiamo, sono estremamente sfuggenti: basti pensare che, se si avesse a disposizione un enorme cubo di piombo con gli spigoli lunghi 200 anni luce, una singola particella di materia oscura avrebbe il 50% di probabilità di passarvi attraverso senza interagire con nulla. Insomma, qualsiasi cosa sia, la materia oscura riesce a nascondersi molto bene.
South Dakota: dalla febbre dell’oro a quella della materia oscura
Qui entra in scena Lux-Zeplin. Cominciamo dalla fine, cioè dal comunicato degli scienziati: “Non abbiamo ancora visto la materia oscura – ha spiegato Frank Wolfs, docente alla University of Rochester e tra i coordinatori dell’esperimento – “ma i primi risultati di Lux-Zeplin ci confermano che è attualmente il rivelatore più sensibile al mondo. Continueremo a raccogliere dati per circa mille giorni, migliorando ulteriormente la sensibilità dello strumento: ci auguriamo in questo modo di riuscire a osservare qualcosa”. Con “primi risultati” Wolfs si riferisce alla raccolta dati della run iniziale dell’esperimento, condotta più che altro a mo’ di collaudo, per assicurarsi che tutto funzioni a dovere. Gli strumenti di Lux-Zeplin si trovano a circa un chilometro e mezzo di profondità, dove il sensibilissimo rivelatore è schermato da possibili “interferenze” (per esempio tutte le particelle di materia ordinaria, il cui “rumore” sommergerebbe facilmente i debolissimi vagiti delle particelle di materia oscura) da tutta la roccia soprastante. Nello specifico, l’esperimento è stato progettato per osservare le cosiddette Wimp, acronimo di “particelle massive debolmente interagenti”, servendosi di due grandi serbatoi riempiti con dieci tonnellate di xeno allo stato liquido altamente purificato, uno degli elementi più rari della Terra. Gli atomi di xeno hanno la proprietà di produrre luce con un certo tipo di interazioni, tra cui per l’appunto ci dovrebbero essere anche quelle con le Wimp; questa luce viene poi raccolta e amplificata da circa 500 tubi fotomoltiplicatori e infine trasformata in un segnale elettrico. Se una Wimp dovesse “scontrarsi” con un atomo di xeno, sostanzialmente, creerebbe un lampo di luce e un segnale elettrico dalla firma inconfondibile.
Quanto sia probabile riuscire effettivamente a osservare questa “firma” in un tempo ragionevole è cosa molto difficile a dirsi. Per quanto ottimisti, gli scienziati – forse anche per un pizzico di scaramanzia – restano per ora con i piedi per terra: “Entro la fine dell’esperimento – ha raccontato nel corso della conferenza stampa di presentazione dei dati preliminari Hugh Lippincott, portavoce dell’esperimento – stimiamo che le probabilità di osservare la materia oscura sia minore del 50%, ma superiore al 10%”. Il che può oggettivamente sembrare poco, ma è già qualcosa: “Quello che ci serve ora è un po’ di entusiasmo – aggiunge al Guardian Kevin Lesko, fisico del Lawrence Berkelay National Laboratory – Non si può cominciare una ricerca così difficile senza la speranza di trovare qualcosa”. Ce lo auguriamo.