Flagello del continente, a più riprese decimò la popolazione europea: è la peste, temibile malattia causata dal batterio Yersinia pestis. Anche se il suo fantasma viene a volte rievocato come epidemia delle epidemie, oggi siamo, per ora, al sicuro e i focolai sono estinti da tempo. Per fare però chiarezza sulle varietà che si diffusero in Europa e sulla storia genetica della peste che cominciò nel Trecento, un gruppo di ricercatori internazionale ha analizzato i resti di antichi malcapitati provenienti da ogni angolo d’Europa. Come hanno raccontato su Nature Communications, Y. pestis entrò una sola volta in Europa da est, per restarci parecchio.
La seconda grande piaga
I ricercatori si sono occupati di una pandemia in particolare, quella che è considerata la seconda pandemia di peste in Europa, dopo quella che flagellò Costantinopoli e tutto l’impero bizantino nel 500 d.C. È la famosa pandemia che cominciò con la cosiddetta Peste Nera del Trecento, per cui i protagonisti del Decameron di Boccaccio si rifugiarono in campagna, che imperversò a più riprese nella storia, restando silente anche per lunghi periodi: tornò nel Seicento, come racconta Manzoni, perdurando fino alla fine dell’Ottocento.
La peste arriva da est
Nonostante la sua fama, il suo percorso e la sua origine restano però non del tutto chiari, perché mancano precisi dati sulla sua esplosione. Per ricostruire la storia delle mutazioni e comprendere la strada compiuta nel tempo dal batterio, lo studio ha esaminato 34 corpi provenienti da dieci siti archeologici campione, dal XIV al XVII secolo, in Inghilterra, Francia, Germania, Svizzera e Russia. Analizzandone i denti, i ricercatori sono stati in grado di ricostruire il genoma del batterio: scoprendo un solo ceppo antenato di tutti gli altri a Laishevo, nella regione russa del Volga. Come spiega Maria Spyrou del Max Planck Institute, tra le autrici del lavoro: “Questi risultati indicano che il batterio entrò in Europa una sola volta, da est”.
La peste si diffonde in focolai autonomi
Tutti i campioni databili al Trecento appartenevano, insomma, a quel ceppo. “Ma in una fase più avanzata della seconda pandemia, osserviamo più filoni in tutta Europa”, racconta Marcel Keller, coautore del lavoro e anche lui ricercatore al Max Planck Institute. “Questo suggerisce che in un secondo momento la peste si sviluppò e mantenne in differenti focolai locali”. Focolai di cui, al momento, non è stato trovato alcun discendente moderno: dunque possiamo stare tranquilli. Ma si aspettano altre ricerche di questo tipo che, come spiegano gli studiosi, possono far luce in modo unico sulla microevoluzione dei patogeni, lavorando assieme ad altre discipline come l’epidemiologia e la storia per studiare un batterio che la storia l’ha fatta.
Riferimenti: Nature Communications