Nel breve volgere di tre decenni, la Francia è passata sotto tre diversi regimi politici: dalla monarchia assoluta, alla rivoluzione del 1789, all’impero napoleonico, per tornare alla monarchia (questa volta più temperata rispetto all’assolutismo settecentesco). In questo stesso periodo cruciale a cavallo tra i due secoli, la scienza ha conosciuto uguali sommovimenti.
Dal punto di vista istituzionale, le vecchie accademie vanno incontro a riforme radicali, che tentano di modernizzare i palazzi della scienza francese. Ad esempio, il Jardin du Roy si trasforma nel Muséum d’Histoire Naturelle, che per oltre un secolo è stato uno dei principali luoghi di ricerca biologica nel mondo. Jean-Baptiste Lamarck – il naturalista che per primo ha avanzato una teoria scientifica dell’evoluzione biologica, ancorché errata – è stato uno dei principali scienziati che ha attraversato le mutazioni del sistema francese, subendone vantaggi e svantaggi. Difatti, le speranze suscitate in lui dalla Rivoluzione andarono deluse: non solo perché politicamente la “Republique” diventa impero, ma anche perché Lamarck non si era reso conto del cambiamento avvenuto nel modo di fare scienza e nella nuova percezione sociopolitica di essa.
Lo sviluppo delle scienze in questo periodo è stato molto studiato, proprio perché in pochi anni si concentra un gran numero di scienziati che hanno lasciato una grande impronta nella storia della scienza occidentale: Lamarck, Lavoisier, Cuvier, Laplace, Lagrange, i due Carnot, solo per citarne alcuni. Tuttavia, questo imponente libro di Charles Gillispie non solo mette insieme i numerosi studi disponibili, ma soprattutto usa la prospettiva dello storico piuttosto che quella dello storico della scienza. Va cioè ad analizzare le ricadute della politica sulla scienza e viceversa. Soprattutto nel periodo della Rivoluzione e poi sotto Napoleone, i diversi governi svolsero una notevole funzione di indirizzo nei confronti della ricerca. Non solo con la riforma delle istituzioni scientifiche, ma anche spingendo direttamente gli scienziati a occuparsi di alcuni temi piuttosto che di altri.
Vi fu soprattutto una spinta verso la pratica e l’applicazione, lasciando da parte la speculazione teorica, nonché una preferenza per le scienze esatte, o che almeno alla loro metodologia si ispiravano. Così, secondo Gillispie, il passaggio dalla scienza dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert al nuovo atteggiamento positivista fu un mutamento non solo interno alla scienza, ma più in generale relativo alla società nel suo complesso.
La nascita e il consolidamento di questo nuovo positivismo è probabilmente uno degli aspetti pià interessanti analizzati in questo volume. Inoltre, e Gillispie lo documenta in modo accurato, le nuove istituzioni si occupano direttamente di problemi connessi alla società: guerra, sanità, opere ingegneristiche, vengono affidate all’élite scientifica del nuovo stato, che in gran parte si presta ben volentieri al nuovo ruolo. Vengono anche effettuate riforme strutturali a largo spettro, come l’introduzione del sistema metrico decimale, e fu tentata anche la riforma del calendario, laicizzando la sequenza di santi cattolici e cambiando nome ai mesi.
La riforma creò quindi un’élite professionale di scienziati che ha garantito e continua a garantire l’amministrazione e l’alta formazione scientifica (ma non solo) francese, che attinge ai serbatoi di scuole di eccellenza, dall’Ecole Normale al Politechnique, all’Ecole des Mines. È questo un aspetto della grandeur francese che ha alla lunga un po’ mummificato la ricerca, ma che comunque ha garantito uno standard molto elevato nell’insegnamento e nella gestione scientifica, diventando uno dei fondamenti culturali e della gloria della Republique.
Il libro
Charles Coulston Gillispie
Science and Polity in France. The Revolutionary and Napoleonic years
Princeton University Press, 2004
pp.751, euro 38,73