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“La scienza fuori dai laboratori”

di
Francesca Sandri

Nei giorni scorsi ha chiuso i battenti la IX Settimana italiana della cultura scientifica e tecnologica: più di mille sono le manifestazioni promosse dalle scuole, dalle associazioni, dai musei, dai laboratori di ricerca e dalle accademie sul tema “Scienza ed educazione”. Per avere maggiori informazioni sul principale evento di divulgazione scientifica nel nostro paese abbiamo intervistato Luigi Campanella, direttore del Musis – Museo della scienza e dell’informazione scientifica – e membro del comitato nazionale per il Museo della scienza di Roma.

Professor Campanella, come è nata la Settimana della cultura scientifica?

“E’ nata nel 1990 da un’intuizione dell’allora ministro dell’Università e della Ricerca scientifica Antonio Ruberti. L’idea era quella di avvicinare i cittadini alla scienza attraverso momenti nei quali si concentrassero numerose attività di divulgazione scientifica in tutto il paese, in modo da coinvolgere il più possibile la cittadinanza. Prima esisteva “laboratori aperti”: un’iniziativa delle università che durante il mese di maggio aprivano i loro laboratori al pubblico. Con la Settimana della cultura scientifica, non sono più solo gli addetti ai lavori a celebrare la scienza, ma tutta la cittadinanza, dalle scuole agli artigiani, ai privati cittadini, riscoprono e mettono in mostra tesori e conoscenze scientifiche nascoste. Inoltre vorrei ricordare che l’Italia è stata la prima in Europa a promuovere un’iniziativa del genere. Infatti fu lo stesso Ruberti che dopo l’esperienza italiana decise di lanciarla anche a livello europeo”.

Nel resto dell’anno, però, sono altre istituzioni a portare la fiaccola della divulgazione scientifica, per esempio i musei. Come si possono integrare queste realtà?

“La Settimana della cultura scientifica ha una grande partecipazione, e ognuno si sente protagonista delle iniziative che ha contribuito a realizzare. Quest’entusiasmo rappresenta una spinta enorme per promuovere altre attività, ed è uno stimolo fondamentale per le iniziative che poi si svolgono tutto l’anno. In termini chimici potrei paragonarla a un catalizzatore o a un fertilizzante. Non solo. La struttura decentrata e delocalizzata della Settimana della cultura scientifica dovrebbe ispirare anche le istituzioni che per tradizione sono centralizzate, come appunto i musei che rischiano di smorzare l’interesse e la partecipazione dei cittadini. Infatti nel futuro Museo della scienza di Roma, vogliamo che uno spazio del museo sia dedicato alla ‘rete multipolare’. A turno, secondo una rotazione stabilita in base a criteri di qualità, ciascuna delle iniziative periferiche si trasferirà nella sede centrale, insomma una sorta di vetrina per tutte le realtà locali come le circoscrizioni, le scuole e così via. Non si possono coinvolgere le persone con iniziative che stanno esclusivamente al centro di Roma, o di qualsiasi altra città, e solo con grandi eventi, perché si sentono escluse nel 90 per cento dei casi. Il nostro obiettivo che il museo venga considerato piuttosto come un traguardo”.

Perché, nonostante tutto, divulgare la scienza rimane così difficile?

“Nel nostro paese ci si scontra con una cultura essenzialmente centralista, statalista e quasi esclusivamente umanista. Pochissime sono le occasioni per promuovere la cultura scientifica. E quelle rare iniziative sono spesso assai poco divulgative. Le faccio un esempio: la mostra Quark2000, presentata l’anno scorso al Palazzo delle Esposizioni dall’Istituto nazionale di fisica nucleare, era bellissima ma si rivolgeva a chi già conosceva l’argomento. Invece qualsiasi iniziativa di divulgazione scientifica deve rivolgersi a un cittadino di media cultura. Il segreto sta nel partire da elementi estremamente semplici e accessibili a tutti. Non significa rinunciare al rigore della scienza, ma scegliere tra i concetti che si vogliono esprimere quelli fondamentali ed elementari. Bisogna partire dal presupposto che non tutto è indispensabile. Solo così è possibile avvicinare alla scienza un pubblico sempre più numeroso”.

L’anno prossimo la Settimana della cultura scientifica compie dieci anni. Quali sono i vostri progetti?

“Posso rispondere solo per ciò che riguarda le iniziative di Roma nelle quali sono coinvolto direttamente. Innanzitutto allestiremo un planetario, attorno al quale vogliamo costruire una serie di eventi di osservazione e di studio del cielo rivolti alle scuole e alle circoscrizioni. Poi vogliamo estendere il progetto dei musei scolastici ai quartieri e ai dintorni di Roma che ancora non sono coinvolti. Inoltre le esperienze scientifiche che finora venivano illustrate con mostre fotografiche, potrebbero diventare veri e propri “esperimenti itineranti” da proporre nei centri periferici e di scuole. Ci sono poi le mostre già allestite in passato e che vanno rese ancora più semplici e accessibili al pubblico. Infine c’è un tema che ci sta particolarmente a cuore: il rapporto tra arte e scienza, sul quale abbiamo già lavorato molto. Ricordo per esempio la mostra Materiali e sculture e altri progetti interessanti come la ricerca scientifica applicata ai restauri di opere d’arte, i frattali, la cosiddetta pittura geometrica”.

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