Se il cervello perde il ritmo, leggere diventa difficile. Potremmo riassumere così, in modo forse un po’ semplicistico, la scoperta di un team di ricercatori dell’Università di Ginevra sulla dislessia. Più precisamente gli scienziati ritengono di aver prodotto la prima prova della relazione causale tra le oscillazioni di attività neurale nel cervello dei pazienti e la capacità di elaborare fonemi. Se infatti, grazie a tecniche di stimolazione transcranica a corrente alternata (tACS), si ripristinano i normali schemi nella corteccia uditiva sinistra le abilità di lettura delle persone con dislessia aumentano.
Se la dislessia è questione di “ritmo”
E’ ormai assodato che il cervello delle persone dislessiche lavori in modo diverso rispetto a quello dei normolettori: ci sono aree più lente, e i normali schemi di attività neurale ritmica risultano alterati. In particolare gli esperti ipotizzavano come più probabile causa della dislessia un deficit fonologico, cioè una difficoltà nell’elaborare i suoni del linguaggio: principali sospettate le oscillazioni a 30 Hz nella corteccia uditiva sinistra. Deduzioni che, per quanto fondate, fino a oggi non disponevano di nessuna dimostrazione scientifica.
Per confermare (o escludere) la relazione causale tra i problemi di elaborazione dei fonemi e l’alterata attività neurale ritmica, Silvia Marchesotti e i suoi colleghi dell’università di Ginevra hanno avviato uno studio clinico coinvolgendo 15 pazienti dislessici adulti e 15 normolettori. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a tACS per 20 minuti, mentre i ricercatori monitoravano le capacità di lettura. L’effetto è stato immediato: la stimolazione a 30Hz (e non altre) nei pazienti con dislessia ha migliorato le performance in fatto di elaborazione fonologica e accuratezza, mentre i normolettori ne sono stati leggermente disturbati.
Le coordinate della dislessia
Altri studi precedenti di stimolazione cerebrale avevano già dato risultati incoraggianti, ma nessuno aveva dato evidenze di condizionare l’attività neurale in modo specifico per frequenza e posizione.
Ora invece il nesso di causa-effetto è confermato – sostengono gli autori – e si aprono diverse strade per interventi terapeutici non invasivi che normalizzino l’attività neurale ritmica. “Il prossimo passo – anticipa Marchesotti – sarà indagare se la normalizzazione della funzione oscillatoria nei bambini molto piccoli possa avere un effetto duraturo sull’organizzazione del sistema di lettura, ma anche esplorare mezzi ancora meno invasivi per correggere l’attività oscillatoria”.
Fonte: Plos Biology
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