Questa prima parte del 2017 è stata caratterizzata da annunci eclatanti da parte della Nasa. A febbraio la scoperta di Trappist-1, un sistema solare a circa 40 anni luce dalla Terra, formato da sette pianeti. Tre di questi si troverebbero nella cosiddetta fascia di abitabilità, una zona in cui è possibile teoricamente la presenza di acqua in forma liquida necessaria allo sviluppo della vita così come la conosciamo. È di aprile, invece, la notizia che su Encelado, un satellite di Saturno, potrebbero esserci le condizioni e gli ingredienti adatti allo sviluppo della vita. È inevitabile che queste scoperte abbiano puntato i riflettori sugli astrobiologi, coloro che si occupano di cercare la vita al di fuori dei confini della Terra. Ma come? Ne abbiamo parlato con Angela Ciaravella, ricercatrice presso INAF-Osservatorio astronomico di Palermo.
Dott.ssa Ciavarella, perché l’acqua è così importante nella ricerca di forme di vita extraterrestri?
“L’esistenza di acqua liquida è un requisito per la presenza di vita come noi la conosciamo. I primi organismi che si sono sviluppati sulla Terra l’hanno fatto nelle ‘pozze’. Questo perché in quel periodo le condizioni sulla Terra erano abbastanza estreme. Si pensi ad esempio a due aspetti fondamentali: la mancanza di un’atmosfera capace di isolare e proteggere la Terra dalle componenti più nocive della radiazione solare, e la mancanza di ossigeno, elemento fondamentale per la vita. Nei bacini lo strato di acqua ha rivestito il duplice ruolo di agente schermante delle radiazioni nocive e di ingrediente basilare, insieme all’argilla, nello sviluppo della vita”.
Perché Encelado è un buon candidato nella ricerca di forme di vita aliene?
“La Terra è l’unico pianeta del Sistema solare che possiede oceani sulla sua superficie, una caratteristica su cui è basata la definizione di zona di abitabilità che estendiamo ad altri pianeti extrasolari. Encelado, ma anche Europa, satelliti rispettivamente di Saturno e di Giove, tuttavia hanno oceani sotto la loro superficie; di conseguenza questi due oggetti sono diventati buoni candidati per la ricerca della vita al di fuori della Terra”.
Su Encelado, o altrove, potrebbero esistere forme di vita che non si basino sul carbonio?
“La chimica degli esseri viventi è la chimica del carbonio, che è il quarto elemento più abbondante nell’Universo dopo l’idrogeno, l’elio e l’ossigeno. Speculando su altri elementi diversi dal carbonio su cui si potrebbe basare la vita, il silicio è l’elemento più comunemente citato. Benché sia circa cinque volte meno abbondante del carbonio, come questo si organizza in catene di molecole grandi abbastanza per svolgere processi biologici, ma è meno flessibile. Ad esempio si lega con meno tipi di atomi e, rispetto al carbonio, ha maggiori limitazioni sul tipo di strutture che può formare. Le sue molecole voluminose non si legano facilmente in gruppi come avviene nella chimica organica (del carbonio). Ciononostante il silicio è un elemento importante nelle strutture scheletriche e protettive di molti esseri viventi basati su una chimica del carbonio. Il silicio è poi un elemento fondamentale delle argille che, per il loro ruolo nell’organizzare i composti di carbonio, si pensa siano uno degli ingredienti fondamentali per l’origine della vita. Infine gli zuccheri del silicio sono solubili a basse temperature in azoto liquido. Quindi, in principio, in ambienti molto diversi da quelli terrestri il silicio potrebbe giocare un ruolo di primo piano”.
Tornando al carbonio, nello Spazio sono state trovate delle molecole organiche?
“Sì. Circa il 75% delle molecole trovate nello Spazio sono di tipo organico; sono costituite da elementi sintetizzati nelle stelle e dispersi nello Spazio, come la glicolaldeide, uno zucchero molto semplice scoperto intorno al 2000. Nel 2008 è stato trovato invece l’aminoacetonitrile, un precursore della glicina, che è un amminoacido molto diffuso nelle proteine animali. E poi l’acetamide, la più grande molecola osservata nello Spazio con un legame peptidico. Queste molecole molto complesse sono di notevole interesse astrobiologico. Infatti ottenere indicazioni sulla possibilità di sopravvivenza di materiale organico in ambienti diversi da quello terrestre è importante anche per la comprensione degli effetti dello Spazio sugli esseri umani e, in particolare, sugli astronauti”.
Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP della Sapienza Università di Roma