Dal 1993, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 22 marzo “World Water Day”, ovvero Giornata mondiale dell’acqua. Per quest’anno, il tema è l’acqua e la lotta contro la fame (tutte le iniziative si trovano qui). Per l’occasione la Food and Agricolture Organization (Fao) ha realizzato un’animazione molto efficace visibile su youtube. In questo contesto si inserisce anche l’uscita, nelle sale italiane, del film “La sorgente dell’amore” di Radu Mihaileanu.
“Tutto ha avuto inizio con un fatto di cronaca avvenuto in Turchia nel 2001. Fin dalla notte dei tempi, le donne di un piccolo villaggio tradizionale andavano ogni giorno a prendere l’acqua alla sorgente in cima a una montagna vicina e la riportavano al villaggio in pesanti secchi colmi fino all’orlo che spezzavano loro le spalle. A seguito di una serie di incidenti, le donne decisero di prendere in mano il loro destino e iniziarono uno sciopero dell’amore per convincere gli uomini a costruire una rete idrica nel villaggio. All’inizio gli uomini non presero sul serio le donne e ci furono episodi di violenza. Le donne non si arresero e alla fina la diatriba fu risolta dal governo. A livello più metaforico, mi sono anche ispirato a Lisistrata di Aristofane. Mi è parso un soggetto ricco di problematiche attuali”. Chi parla e spiega come gli è venuta in mente l’idea del film, è il regista di La sorgente dell’amore (nelle sale dal 9 marzo, titolo originale La Source des femmes), Radu Mihaileanu. Una storia corale di donne – Leila Bekhti, Hafsia Herzi, Biyouna, Sabrina Ouazani, Saleh Bakri, Hiam Abbass – che vogliono cambiare le condizioni di vita nel loro villaggio. E non essere più costrette a prendere l’acqua tutti i giorni, ad accettare di venire date in sposa a quattordici anni. Citando brani del Corano riusciranno a mettere in crisi anche le certezze dell’Imam.
Il film di Mihaileanu è una commedia che alterna momenti divertenti a momenti drammatici, sconfinando spesso nel genere musicale. Il motivo lo spiega il regista: “Nella tradizione orientale, le cose non vengono dette in modo diretto: non bisogna mai umiliare il prossimo. Di conseguenza, molti scambi avvengono attraverso il canto, la poesia e la danza”. Il film è stato realizzato in un villaggio del Maghreb in Marocco e durante la lavorazione il regista si è reso conto di come le donne si stiano emancipando, riuscendo a ottenere un accesso sempre più ampio all’istruzione e alle nuove tecniche non solo agricole. “Mi pare inevitabile che le donne rivendichino un numero crescente di diritti e una minore rigidità della loro condizione… Ho capito che le rivoluzioni arabe avrebbero visto sicuramente la partecipazione delle donne, poiché è senza dubbio giunto il momento per le donne di guidare delle vere rivoluzioni non violente, essendo ormai l’uomo incapace di non violenza e di lucidità”. Naturalmente “la siccità che colpisce il villaggio è una metafora del cuore che si inaridisce. In alcuni canti arabi tradizionali, si dice che l’uomo deve innaffiare la donna come se fosse un fiore o una terra fertile”.
Oltre ad essere un film divertente e ben costruito, La sorgente dell’amore tratta di temi che sono di grande attualità nel mondo di oggi, non solo dal punto di vista dell’emancipazione delle donne, ma anche dal punto di vista economico. L’accesso all’acqua, all’istruzione, alle tecnologie ha un grande impatto non solo sulla cultura di tante popolazioni ma anche sull’economia di molti paesi. Uno studio recente di quattordici agenzie delle Nazioni Unite, diretto dalla Fao, calcola che solo nell’Africa sub-sahariana le donne perdano 40 miliardi di ore ogni anno per procurare l’acqua necessaria alle loro famiglie. In media le donne e le bambine nel terzo mondo camminano per dieci chilometri al giorno portando circa 20 litri d’acqua. Per molte bambine questo obbligo significa l’impossibilità di frequentare la scuola. Per le donne, oltre allo sforzo fisico e al numero di ore perse che potrebbe essere utilizzato per la produzione agricola o anche solo per un po’ di riposo, in molti casi significa esporsi a pericoli e violenze.
Con la firma dei Millennium Development Goals nel 2000, il mondo intero prese l’impegno di ridurre della metà entro il 2015 il numero di persone senza accesso all’acqua, definito come la disponibilità di 20 litri per persona al giorno da una fonte non inquinata distante meno di un chilometro. I dati del 2004 dimostravano che quell’obiettivo rimaneva ancora molto lontano per la popolazione rurale dell’Africa a sud del Sahara, dove solo il 56% degli abitanti aveva accesso all’acqua potabile. La mancanza di acqua pulita è tra l’altro anche la causa di un’alta percentuale di mortalità. E’ stato calcolato che muoiono più persone per malattie collegate alla mancanza di acqua che per le guerre. Una media di 5.000 bambini muoiono ogni giorno di diarrea e malattie correlate, morti che potrebbero essere ampiamente evitate con una adeguata disponibilità di acqua.
Il problema delle donne e dell’acqua trattato nel film di Mihaileanu non è ovviamente un problema che tocca solo il villaggio del film. E non è solo un problema di diritti umani o di diritti della donna. E’ un problema di sviluppo mondiale, di fame, di mortalità infantile e di salute.