Farsi un’opinione. È quello che vorrebbe chi tutti i giorni compra un quotidiano o guarda il telegiornale. Ed è un’esigenza tanto più sentita quanto più l’argomento in questione è la ricerca scientifica, nelle cui mani, oggi più che mai, si trovano la vita di ognuno di noi e il futuro del pianeta.”La scienza, che nel secolo scorso ha contribuito a conoscere e trasformare la “materia inerte”, permette ora di influire in profondità sulla materia vivente, inclusa la specie umana”, ha ricordato Giovanni Berlinguer, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, al convegno “Scienza, etica e informazione” organizzato Roma lo scorso 19 giugno dallo stesso comitato insieme alla Federazione nazionale della Stampa. In quella sede si è discusso proprio delle difficoltà di fornire ai cittadini un’informazione chiara e veritiera su questo settore dell’attività umana. Ed è emerso che spesso il problema è a monte, nella comunicazione fra scienziato e giornalista.
Partendo dalla cura Di Bella e arrivando fino alle biotecnologie e in particolare dell’utilizzo degli organismi geneticamente modificati in campo agricolo-alimentare, sono stati analizzati tutti quei casi in cui la cattiva informazione, spettacolarizzata e frutto di fraintendimenti e ignoranza, ha impedito al pubblico di farsi un’idea precisa della questione. La sicurezza dei cibi Ogm, per esempio, è una questione molto seguita dai mass media. Eppure tutti, scienziati da una parte, ambientalisti dall’altra e pubblico in mezzo, si lamentano per come viene trattata. In particolare, come ha fatto rilevare Luigi Pellizzoni dell’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia, questo argomento più di altri ha segnato un nuovo atteggiamento “paradossale” della gente nei confronti della scienza. “Mentre da una parte crescono le aspettative nei confronti della ricerca scientifica, dall’altra aumentano anche le diffidenze”. Dagli studi condotti all’interno del progetto “Public Perceptions of Agricultural Biotechnology in Europe” finanziato dalla Commissione europea, a cui ha partecipato l’istituto italiano, appare chiaro come l’immagine della scienza agli occhi del pubblico si sia incrinata non tanto per colpa dell’informazione quanto per le posizioni anche opposte assunte su molte questioni dagli stessi scienziati. Che, tra l’altro, tutt’altro che neutrali e disinteressati.
“Dalle nostre ricerche ”, ha spiegato ancora Pellizzoni, “appare chiaro che ciò che turba maggiormente il pubblico è la negazione dell’incertezza: le persone vorrebbero che gli scienziati ammettessero il margine d’errore insito nella pratica scientifica”. Evitando che questo compito diventi esclusiva di gruppi ambientalisti o di generici contestatori. A questo proposito illuminante è stato l’intervento di Rita Levi Montalcini, che ha sostenuto l’importanza vitale della preservazione della biodiversità. “Gli scienziati per primi e poi i cittadini devono opporsi ad alcune manovre delle grandi multinazionali interessate a mettere il veto alle colture normali”, ha sottolineato il premio Nobel. E lo studio europeo mette in evidenza come nel pubblico non ci sia un rifiuto categorico verso le biotecnologie, “ma rimane forte la richiesta di giustificazione delle loro applicazioni”, ha spiegato Pellizzoni. È questa infatti la ragione per cui l’uso di tecniche di manipolazione genetica in campo agricolo suscita maggiore diffidenza, mentre il loro utilizzo in campo farmaceutico solleva meno dubbi. “Gli italiani sono pronti a rischiare per curarsi ma non per alimentarsi”.
Alla platea presente – che poteva contare su nomi altisonanti del giornalismo italiano, da Paolo Graldi direttore de Il Messaggero a Pierluigi Magnaschi direttore dell’Ansa, passando per Piero Angela e Paolo Ruffini direttore Gr Rai – sono state offerte delle soluzioni. O meglio le esigenze che lo studio svolto a Gorizia a rilevato come le più urgenti da parte dell’opinione pubblica. Su tutte prevale il desiderio di una migliore documentazione, “cercando così di non sottovalutare i ragionamenti della gente comune e la sua capacità di comprensione”, ha dichiarato Pellizzoni. E infine un appello rivolto non solo ai comunicatori ma anche agli scienziati e ai politici: allargare la sfera della discussione, coinvolgendo i cittadini in scelte che li riguardano. Facendo attenzione – e questo era rivolto soprattutto ai ricercatori – a non confondere il diritto al finanziamento della ricerca con quello che i cittadini hanno di scegliere l’indirizzo della politica della ricerca. Di cui poi dovranno fare le spese.