Terremoto de L’Aquila, atto secondo. Oltre cinque anni e mezzo dopo il devastante sisma di magnitudo 6,3 che distrusse il capoluogo abruzzese e costò la vita a 309 persone, si è conclusa la prima udienza del processo d’appello contro i sette componenti della Commissione Grandi Rischi già condannati in primo grado a sei anni di reclusione per omicidio colposo e lesioni colpose. Gli esperti (sia scienziati che funzionari), tra cui l’allora vice direttore della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis, erano stati giudicati colpevoli (in primo grado) per aver dato informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie sulla pericolosità del terremoto, invitando i cittadini aquilani a restare nelle loro abitazioni (a “bere un bicchiere di vino”, come disse – o meglio: fu indotto a dire – De Bernardinis in una famosa intervista) ed esponendoli così all’effetto distruttivo del sisma. La sentenza d’appello dovrebbe arrivare in tempi brevissimi, entro la fine del mese: nell’attesa, ecco la nostra ricostruzione di tutta la vicenda.
6 aprile 2009, ore 3:32: la terra trema.
Nel bel mezzo di una notte di inizio aprile del 2009, il capoluogo abruzzese e le zone limitrofe sono sconvolte da una forte scossa di terremoto, di magnitudo 6,3. In realtà, la terra aveva cominciato a tremare già tre mesi prima: la sequenza sismica era iniziata a gennaio e proseguita con altre scosse di intensità crescente a febbraio prima del Big One del 6 aprile. Il bilancio del terremoto fu pesantissimo: 309 morti, 1.600 feriti, 65mila sfollati, una città completamente distrutta, così come diversi paesi vicini. Stima totale dei danni materiali: 10 miliardi di euro.
Tanta confusione
Per capire il motivo della bagarre giudiziaria che ha investito sette top scientists italiani (così li definiscono oggi i cugini americani di Wired.com) bisogna fare un passo indietro. E tornare, precisamente, al 31 marzo 2009, sei giorni prima del terremoto. A L’Aquila si riuniscono Guido Bertolaso, presidente della Protezione Civile, diversi sismologi e ingegneri (Enzo Boschi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva e Giulio Selvaggi), il vulcanologo Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi Rischi, e altri esponenti della Protezione Civile nazionale e locale, tra cui il già citato De Bernardinis. La riunione viene indetta, come si legge nel report pubblicato a marzo 2014 sulla rivista Analysis da Alessandro Amato e Fabrizio Galadini, Ingv, “in conseguenza del clima che si era creato intorno alle presunte previsioni che da tempo allarmavano la popolazione, articolate con messaggi confusi”. In effetti, la situazione in quei giorni è parecchio confusa: in Abruzzo c’è chi parla di possibili “eventi piccoli, poi grandi”, di “terremoti a Sulmona o all’Aquila”. Altri, invece, sostengono la tesi di “fine sciame”. È per mettere fine a tutto questo che Bertolaso convoca il summit con i massimi esperti a L’Aquila.
La riunione incriminata
Il busillis è tutto qui. Nei sessanta minuti che i massimi esperti trascorrono attorno al tavolo de L’Aquila. È questo il cardine fondamentale attorno al quale, più tardi, ruoterà l’accusa agli scienziati e al vicepresidente della Protezione Civile. Cosa si dicono i partecipanti alla riunione? Secondo la ricostruzione di Amato, “la pericolosità sismica dell’Abruzzo era ben nota e fu richiamata durante la riunione; certamente era conosciuta a tutti i rappresentanti del mondo della ricerca e della protezione civile nazionale e locale presenti alla riunione del 31 marzo”. E ancora: “Nel corso della riunione emerse un quadro a nostro avviso tutt’altro che rassicurante […]. Certo, nessuno dei presenti si spinse a dire (perché, come visto, era impossibile farlo) che un forte terremoto nei giorni successivi fosse prevedibile, o anche soltanto altamente probabile”. E qui arriviamo a un altro punto chiave, che è bene ribadire una volta per tutte: i terremoti non si possono prevedere. Ve lo avevamo ricordato di recente: al momento – e forse per sempre – è impossibile costruire un modello attendibile in grado di stabilire con precisione dove e quando la terra deciderà di svegliarsi. Si possono individuare delle zone a rischio (e quella de L’Aquila certamente lo era, lo è e lo sarà); si possono studiare le serie storiche dei terremoti; si possono preparare delle mappe di pericolosità sismica. Ma i terremoti non si possono prevedere. Per tutte queste ragioni, come ricorderà in seguito, durante il processo, il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente (anche lui presente alla riunione), Enzo Boschi dichiarò che “[quello de L’Aquila] è il territorio più sismico d’Italia, uno dei più sismici. Può essere questa sera, tra un anno, tra dieci anni, tra venti anni”. Dopo la riunione, De Bernardinis tenne una conferenza stampa cui però non parteciparono i sismologi, e di cui, si legge ancora nel report di Amato, “esistono solo immagini (che mostrano una sala non gremita) senza audio”.
Un bicchiere di vino
Purtroppo, in quel periodo si disse anche qualcos’altro. De Bernardinis rilasciò una dichiarazione in cui diceva che le scosse in atto facevano parte di “una fenomenologia normale che ci si aspetta in questo tipo di territorio” (e fin qui tutto normale), e che “non c’è un pericolo. Io l’ho detto al sindaco di Sulmona. La comunità scientifica continua a confermare che la situazione è favorevole perché c’è uno scarico di energi continuo[locuzione, anche questa, poi ampiamente contestata dai sismologi, nda]. Eventi intensi, non intensissimi. Credo che siamo pronti a fronteggiare la situazione”. “Intanto ci beviamo un bicchiere di vino di Oferna”, gli risponde l’intervistatore. “Assolutamente, un Montepulciano Doc, mi sembra importante”. Sembrano dichiarazioni avventate. E sicuramente lo sono, visto quello che è successo dopo. “Ma non è stato detto con sufficiente chiarezza”, ci spiega Amato, “che De Bernardinis disse le frasi incriminate prima della riunione, e non dopo, come scritto su tutti i giornali”. Un particolare non da poco, visto che l’accusa impernierà su proprio questa negligenza e leggerezza (ma non solo) le imputazioni a carico di De Bernardinis e gli altri.
Giampaolo Giuliani: “Ve l’avevo detto”
A complicare ulteriormente lo scenario ci si mise pure Giampaolo Giuliani. Un tecnico dell’Inaf (oggi in pensione) che aveva elaborato, a suo dire, un metodo per prevedere i terremoti. Secondo Giuliani, gli eventi sismici sarebbero preceduti da un eccesso di radon fuoriuscente dalle rocce: “Posso dare l’allerta sismica con 6-24 ore di anticipo nel raggio di 120 chilometri dalla centralina”, diceva (e continua a dire tuttora). Peccato che il suo metodo non avesse niente di scientifico. Anzi: uno studio pubblicato nel 2010 dall’Ingv sulla rivista Geophysical Research Letters suggeriva che il rilascio di radon può sia aumentare che diminuire prima di un sisma, a seconda della porosità della roccia: graniti o basalti, che hanno pochissimi spazi vuoti, possono sprigionare il radon nel movimento tellurico, mentre tufi e arenarie, se sottoposti a un carico, possono intrappolarlo. Risultato: nulla di fatto. E in effetti Giuliani sbagliò sia la data che l’ora della sua previsione.
La scienza in tribunale
O, meglio, la comunicazione della scienza in tribunale, come specificò a settembre 2011, mentre era in corso il processo di primo grado, la rivista Nature. I giudici condannarono gli imputati a sei anni per aver dato “informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie” su quanto potessero essere pericolosi i terremoti nei sei mesi precedenti al sisma del 6 aprile. Sostanzialmente, i giudici riconobbero l’impossibilità di previsione dei terremoti, ma ritennero colpevoli gli scienziati di condotta troppo leggera: rassicurando la popolazione, l’avevano indotta a esporsi a un rischio sottostimato. “Il presente processo”, si legge nel faldone di oltre 900 pagine con le motivazioni della sentenza, “non è volto alla verifica della fondatezza, della correttezza e della validità sul piano scientifico delle conoscenze in tema di terremoti. Non è sottoposta a giudizio la scienza per non essere riuscita a prevedere il terremoto del 6 aprile 2009. Il compito degli imputati, quali membri della commissione medesima, non era certamente quello di prevedere il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora, la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere […] alla previsione e prevenzione del rischio”. La sentenza, naturalmente, scatenò una serie di polemiche furiose da parte della comunità scientifica:“Da oggi”, raccontava Stefano Gresta, presidente Ingv, “sarà molto difficile comparire in pubblico a parlare dell’attività sismica in Italia, con la possibilità che i ricercatori possano essere denunciati per qualche omissione o per procurato allarme”.
Il ricorso in appello
Ma il vero problema, tornato prepotentemente alla ribalta a tre anni di distanza, con la celebrazione del processo d’appello, è un altro. Il procuratore generale de L’Aquila, Romolo Como, ha continuato sulla stessa linea d’accusa, come racconta l’Ansa: “La colpa [degli imputati] non attiene al mancato allarme ma alla errata, inidonea, superficiale analisi del rischio” e di una carente e fuorviante informazione che ha fatto mutare i comportamenti degli aquilani di attuare le tradizionali misure dopo scosse forti. La colpa generica è la negligenza e l’imprudenza nel fare questa valutazione”. L’accusa è andata anche però a ripescare un lavoro del 1995, a firma Enzo Boschi, pubblicato sul Bulletin of the Seismological Society of America, dal titolo abbastanza emblematico: “Prevedere dove è probabile che nel prossimo futuro, in Italia, avvengano grandi terremoti” (originale: “Forecasting where larger crustal earthquakes are likely to occur in Italy in the near future”). L’accusa impugna questo lavoro per dimostrare che gli imputati avrebbero avuto tutti gli strumenti per dichiarare che a L’Aquila fosse imminente un terremoto, in primis lo stesso Boschi, coautore del lavoro. I geologi, invece, spiegano che l’articolo incriminato, in realtà, diceva tutt’altro: “Il giudice ha stabilito”, ha raccontato Amato a Wired.com, “che i risultati del lavoro scientifico erano degli ‘indicatori di rischio’ che avrebbero dovuto essere vagliati più profondamente dagli esperti. Ha anche inserito questi cosiddetti indicatori in un modello concettuale per l’analisi del rischio in un modo che qualsiasi scienziato avrebbe considerato non valido”. In sostanza, i giudici sarebbero andati oltre le proprie competenze, sconfinando nel campo della scienza (vi ricorda qualcosa?). Ma c’è dell’altro: Como ha anche detto che “Giuliani non era un ciarlatano, un cantastorie, ma un ricercatore che stava compiendo studi sul radon anche a livello internazionale” (insistiamo: proprio non vi ricorda niente?).
Natalia De Luca, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Fisiche e Chimiche dell’Università degli Studi de L’Aquila, ha commentato così la dichiarazione di Como: “Se [queste affermazioni] dovessero essere confermate, credo possano solo far male al processo stesso. Gli errori della Commissione di certo non rendono Giampaolo Giuliani una persona attendibile. Sono due cose completamente diverse. Se si afferma che Giuliani non è un ciarlatano e ha compiuto studi a livello internazionale, chiedo che vengano presentate delle prove. Non c’è nessuna ricerca, nessun dato, nessuno studio di Giuliani meso a disposizione della comunità scientifica”. Certo, è molto probabile che gli esperti non abbiano fatto un ottimo lavoro di comunicazione. È molto probabile che siano state dette frasi azzardate e inopportune. Ma è anche molto improbabile che chiunque avrebbe potuto garantire che il sisma sarebbe avvenuto hic et nunc. Ed è molto improbabile (anzi: impossibile) che Giuliani abbia mai potuto prevedere un terremoto.
Credits immagine: Maurizio Mori/Flickr
Via: Wired.it
Non molti ricordano che giusto nei mesi antecedenti il terremoto, il governo Berlusconi si apprestava a varare una legge sull’edilizia che tra le altre sconcezze edilizie, permeteva di soprelevare a volontà.
Chi criticava questa legge faceva notare che in paese sismico come l’Italia far aumentare “la massa oscillante” all’ultimo piano era follia pura.
Ovviamente al “proconsole di Berlusconi” Bertolaso non faceva piacere che si parlasse troppo di terremoti e di rischio sismico.
E davvero così malizioso il pensare che abbia fatto “pressioni” sulla commissione e che gli “scienziati” si siano piegati?
Per altro la città dell’Aquila era presidiata da forze modeste della protezione civile.
Il grosso arrivò dopo il sisma, per la verità molto rapidamente, ma questo grazie al fatto che i ponti che dovettero attraversare non erano crollati per il sisma.
Sarebbe stato molto difficile per gli scienziati dichiarare:”non siamo in grado di prevedere il sisma, ma sarebbe meglio che la protezione civile presidiasse la zona dell’Aquila in forze?”
Quanto al fatto che il “metodo del Radon” sarebbe inaffidabile in quanto , poco prima di un sisma, alcuni tipi di rocce lo sprigionano ed alre lo intrappolano mi sembra un pò pretestuoso.
Dovremmo essere alquanto sfortunati per avere sotto i piedi un tale mix di rocce da far finire la partita in pareggio.