Si è concluso da poco a Oakland (California) il congresso scientifico internazionale Psychedelic Science 2017. Tema, neanche a dirlo, le droghe psichedeliche e i loro effetti. Quest’anno in particolare grande attenzione è stata riservata alle nuove ricerche che sembrano dimostrare i benefici che l’utilizzo di queste sostanze può portare ai pazienti affetti da depressione. Sono diversi, infatti, gli studi presentati che riportano gli effetti positivi delle sperimentazioni su pazienti volontari anche nel lungo periodo.
Sulla base di sperimentazioni precedenti che avevano portato considerevoli miglioramenti nella depressione in un ristretto numero di pazienti, ma che avevano il limite di non aver tenuto in considerazione l’effetto placebo, Araújo ha disegnato un nuovo studio (stavolta) con tutti i crismi: ha somministrato a 35 volontari affetti da depressione resistente ai trattamenti una dose di ayahuasca oppure di una miscela molto simile per aspetto e sapore ma inerte (il placebo appunto) e ne ha valutato gli effetti nell’immediato e nei giorni successivi.
La sperimentazione è avvenuta in doppio cieco, cioè all’inizio del trial né i pazienti né i ricercatori sapevano chi avesse assunto davvero la sostanza psichedelica.
Tutti i partecipanti in un primo momento hanno riferito agli scienziati di sentirsi meglio, ma già a distanza di una settimana dal trattamento la differenza tra chi aveva ricevuto il placebo e chi invece aveva assunto ayahuasca è apparsa evidente: i pazienti a cui era stata somministrata la birra allucinogena avevano avuto benefici clinici oggettivi sulla loro depressione. Lo studio di Araújo, benché non ancora sottoposto a peer-review, è disponibile sulla piattaforma open access bioRxiv.
Quello che Roseman ha verificato è che i pazienti che avevano ricevuto psilocibina (distribuita in due dosi nell’arco di due settimane) hanno mostrato miglioramenti significativi del proprio disturbo depressivo fino a 5 settimane dopo il trattamento. Dopodiché i ricercatori hanno registrato comportamenti differenti nei volontari: alcuni continuavano a stare meglio, altri invece sono regrediti. Secondo Roseman e i suoi colleghi ciò potrebbe essere dovuto, anche se saranno necessarie ulteriori indagini, all’intensità dell’esperienza psichedelica (che si associa a sensazioni di fusione con il tutto, di dissoluzione dell’io, ecc.) vissuta dai pazienti.
A differenza degli antidepressivi tradizionali che smorzano sia le sensazioni negative sia quelle positive, sostengono gli esperti, le sostanze psichedeliche intensificano le sensazioni nel bene e nel male. Questo effetto delle droghe potrebbe aiutare i pazienti ad affrontare, col supporto di un terapeuta, il proprio stato in modo nuovo e più profondo. Un’elaborazione che potrebbe portare a un miglioramento duraturo delle loro condizioni cliniche.
Via: Wired.it