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Le impronte pesanti dell’uomo

di
Paola Coppola

Dal 1960 a oggi la popolazione mondiale è raddoppiata ed entro il 2025 potrebbe raggiungere i 9,3 miliardi di persone. Con un trend di crescita, di circa 77 milioni di persone ogni anno, che rischia di danneggiare gravemente le risorse del pianeta. Mettendo a rischio la nostra stessa sopravvivenza. Sono questi i dati riportati dal Rapporto sullo stato della popolazione del mondo 2001 pubblicato dall’Unfpa (il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) e curato, per la versione italiana, dall’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos). Il titolo del documento è “Impronte e pietre miliari: popolazione e cambiamenti ambientali”. Le impronte sono quelle lasciate dall’uomo fin dalla sua prima apparizione sulla Terra. Le pietre miliari sarebbero state poste dalle numerose Conferenze delle Nazioni Unite su popolazione e sviluppo a partire dagli anni Novanta.

Circa il 50 per cento della crescita demografica avviene oggi in aree povere del pianeta, come India, Cina, Pakistan, Nigeria, Bangladesh e Indonesia, in cui non è garantita la sicurezza alimentare per la maggior parte dei cittadini. Il precario equilibrio tra domanda e disponibilità di risorse, in futuro potrebbe addirittura aggravarsi. A cominciare dal problema dell’acqua. Oggi, infatti, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, circa 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile. In molti Paesi in via di sviluppo poi, il 70 per cento dei rifiuti industriali viene scaricato nelle acque di superficie senza subire nessun trattamento depurante, mentre nei Paesi industrializzati le fonti idriche sono contaminate da piogge acide e dalla fuga di pesticidi e fertilizzanti. In Cina, America Latina e Asia Meridionale, le falde freatiche si riducono di oltre un metro l’anno.

Non è migliore la situazione della sicurezza alimentare: entro il 2020, secondo le proiezioni, il divario tra produzione e domanda di cereali potrebbe arrivare fino a 24 milioni di tonnellate in Asia Meridionale e a 27 milioni nell’Africa sub-sahariana. Ma non solo. Degrado del suolo, carenze idriche e politiche agricole inappropriate minacciano la produzione agricola. Dagli inizi del 1900 a oggi, infatti, circa i tre quarti del patrimonio di diversità genetica delle specie coltivabili sono andati perduti a causa dei processi di distruzione ambientale. Oggi, secondo le stime, 15 specie coltivabili soddisfano il 90 per cento del fabbisogno alimentare mondiale e tre di queste, riso, grano e granoturco, sono un alimento base per 4 miliardi di persone nel mondo. Il rapporto avverte: se non si ridurrà il tasso di distruzione genetica “entro il 2025 potrebbero scomparire fino a 60mila varietà vegetali, cioè circa un quarto di quelle del pianeta”. Non è solo la varietà a essere in pericolo: tra il 1950 e il 1996 la disponibilità media pro-capite di cereali si è quasi dimezzata e, con la crescita demografica, si potrebbe ridurre ulteriormente. Per soddisfare la domanda, entro il 2025, gli agricoltori dovrebbero incrementare la produzione di cereali del 40 per cento. Ma la coltivazione delle nuove varietà ad alta resa utilizza troppo spesso fertilizzanti e pesticidi specializzati che possono alterare l’equilibrio ecologico.

Anche la desertificazione e il disboscamento impoveriscono il pianeta. E i dati del rapporto mostrano che già oggi in Asia circa il 39 per cento della popolazione vive in zone soggette a siccità, e per il 90 per cento della popolazione africana la legna combustibile è l’unica fonte energetica.

Sono questi i confini del circolo vizioso in cui la popolazione mondiale è invischiata. Come uscirne? Il rapporto dà alcune indicazioni. Per esempio, la necessità di invertire la tendenza al degrado della terra e combattere l’impoverimento delle risorse idriche, di promuovere la gestione locale delle risorse. E di migliorare la condizione di vita delle donne attraverso i servizi per l’istruzione e la salute riproduttiva.

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