Le prigioni malate

Sono pochi e deboli i segnali che fanno sperare in un miglioramento della qualità di vita dei detenuti nelle patrie galere. Ma Patrizio Gonnella, presidente di Associazione Antigone, ha scelto comunque di partire da lì per presentare lo scorso 28 ottobre a Roma l’VIII Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, eloquentemente intitolato “Le prigioni malate”. Compare infatti un elemento nuovo in quest’ultima fotografia delle prigioni italiane che va giudicato positivamente per i principi che afferma, anche se le soluzioni stentano a farsi vedere: dal febbraio 2009 il Governo ha ufficialmente riconosciuto l’insostenibile affollamento che affligge chi sta dietro le sbarre, dichiarando lo stato di emergenza nazionale delle carceri italiane.  

Si spera, quindi, che i dati raccolti quest’anno dai quaranta rappresentanti di Antigone nei 206 istituti penitenziari e pubblicati nell’elegante volume delle Edizioni dell’Asino, servano a segnare il limite oltre il quale non si può andare, la condizione estrema che deve essere riportata alla normalità. Come, si vedrà. Il Governo punta tutto sul piano carceri, alcuni giuristi su una riforma del codice penale, in pochi invocano un altro indulto o un’amnistia. 

Ecco le cifre delle nostre prigioni. I detenuti presenti al 30 settembre 2011 sono 67.428 a fronte di una capienza regolamentare di 45.817. Il calcolo è semplice: 21.611 sono in eccesso. Tra gli istituti più affollati c’è Lamezia Terme che non dovrebbe superare le 30 presenze, mentre al 30 giugno 2011 vi erano 91 detenuti; poi c’è Canton Monbello di Brescia che sulla carta possiede 206 posti e nella realtà ospita 532 detenuti, seguito da San Vittore che ha una capienza di 712 persone, mentre ne contiene 1.635. E così via dal Nord al Sud, passando per Varese, Treviso, Firenze, Reggio Calabria, Foggia, dove sono in 705 e dovrebbero essere al massimo in 371. Il tasso di sovraffollamento medio, pari al 147%, è il più alto d’Europa.

Uno dei molti meriti dell’VIII Rapporto di Antigone è quello di avere messo a confronto in modo estremamente chiaro la situazione delle nostre strutture detentive con quelle degli altri paesi europei. I dati che Antigone riporta sono forniti da Space (Statistiques Pénales Annuelles du Conseil de l’Europe), un sistema di monitoraggio del Consiglio d’Europa sulla condizione della detenzione e il sistema delle pene nei 47 stati membri. 

Il primato e le anomalie del sistema italiano balzano agli occhi in quattro indagini statistiche: il tasso di sovraffollamento, il tasso di criminalità, il numero di detenuti per reati legati alla droga, le persone in misura alternativa. Procediamo per ordine. 

Al 1° settembre 2009 il tasso di sovraffollamento in Italia era del 148% (grosso modo analogo a quello attuale), in Francia del 123,3% in Spagna del 141%, nel Regno Unito del 98,6% e in Germania del 92%. In questi ultimi due paesi, quindi, si contavano meno detenuti della capienza massima, un dato in linea con la media europea che è del 98,4%. Paradossalmente, però, il tasso di criminalità del nostro paese è di molto inferiore a quello di Germania e Regno Unito: in Italia su 100.000 abitanti si registrano circa 4.500 reati contro gli 8.400 della Germania e 7.436 della Gran Bretagna. Ciò vuol dire che in Italia il carcere viene considerato il principale, se non l’unico strumento utilizzato per scontare una condanna, ma anche per aspettare una sentenza (i detenuti in attesa di un pronunciamento definitivo sono 28.564). Evidentemente altrove non è così. 

Da noi, inoltre, si scontano nelle celle i reati previsti dalla legge sulle droghe in percentuale molto più alta che in altri stati: in Francia il 14,5% dei detenuti, in Germania e nel Regno Unito il 15%, in Spagna il 26,2% mentre in Italia circa il 37%, stando ai dati del 2009.

Altro primato negativo riguarda il ricorso alle misure alternative. L’istogramma che mostra il confronto con le altre nazioni europee è quasi grottesco: la colonnina dell’Italia con i suoi soli 13.383 casi si stacca a mala pena da terra, mentre quelle di Francia, Germania e Regno Unito svettano a tutt’altra altezza. Nel 2009 sono stati 123.349 i detenuti francesi che hanno scontato la pena fuori dalle mura carcerarie, 120.000 i tedeschi, 197.000 nel Regno Unito. 

Qui da noi, poi, accade che ogni tribunale di sorveglianza segua le proprie abitudini. Un interessante capitolo del Rapporto è dedicato all’analisi dell’atteggiamento di undici tribunali nei confronti di quattro misure alternative previste dalla normativa: l’affidamento in prova ai servizi sociali, l’affidamento terapeutico, la detenzione domiciliare e la semilibertà. Ebbene, le risposte variano moltissimo da città a città. Può accadere che il tribunale di Napoli accolga solamente l’11% delle richieste di affidamento ai servizi sociali, mentre quello di Milano il 39,43%. O che Perugia e Venezia concedano la semilibertà in percentuale decisamente maggiore (20% e 18%) rispetto a Napoli, Roma e Torino (circa l’8%). È un fenomeno noto ai sociologi del diritto come local legal culture: i tratti culturali tipici di alcuni luoghi possono determinare le scelte dei magistrati. Con il risultato che il destino di un detenuto dipende anche dal carcere in cui si trova. 

Riferimenti: Associazione Antigone 

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