Si parla con tanta facilità di Viagra e compagni, quanto difficilmente di chirurgia. Eppure, solo in Italia, ci sono oltre 3.000 persone per le quali le pillole blu non funzionano. Le cause più frequenti di questi tipi di impotenza grave sono la chirurgia oncologica invasiva (per tumori alla prostata, alla vescica e al basso intestino, per esempio), le malattie cardiovascolari, il diabete o gravi disfunzioni veno-occlusive. O, ancora, traumi midollari per incidenti stradali. In questi casi, le protesi peniene sono l’unica soluzione per recuperare la funzione sessuale e, con essa, la possibilità di procreare. Nonostante questo, l’operazione viene accettata solo da una persona su sei, a causa di pregiudizi e tabù.
Per restituire a queste persone una buona qualità di vita e spezzare il veto sociale sull’impianto protesico, la Società Italiana di Andrologia (Sia) ha organizzato un convegno a 360 gradi su questo tema (“Disfunzione erettile e chirurgia protesica. La strategia che salva a vita di copia nella disfunzione erettile grave”, Modena, 18 giugno) che ha visto riuniti gli specialisti del settore e le associazioni di pazienti. La Sia ha anche lanciato una campagna d’informazione: da ieri, 19 giugno, è possibile porre le proprie domande all’indirizzo di posta elettronica iochiedo@chirurgiaprotesica.andrologia-mers.com.
Con l’indice di gradimento più elevato tra i pazienti (9 su 10, contro 5 su 10 tra chi usa farmaci e 4 su 10 tra chi ricorre alle iniezioni intracavernose, secondo i dati di uno studio pubblicato su Journal of Urology nel 2003), le protesi peniene sono ormai totalmente invisibili, hanno una durata di oltre 10 anni e, grazie all’uso di nuovi materiali che contengono antibatterici, le infezioni si verificano solo in una percentuale molto bassa di casi. In Germania se ne impiantano circa 1.500 l’anno, in Francia 900, mentre in Italia appena 500. Una possibile causa di questo numero è anche il costo (fino a 8.000 euro), a carico del paziente. Solo alcune regioni, infatti, rimborsano l’operazione, altre strutture pubbliche fanno comprare la protesi al paziente. “Una situazione al limite del legale”, denuncia Edoardo Pescatori, coordinatore della sezione regionale Marche – Emilia Romagna – San Marino della Sia: “Perché è un limite a una possibilità di cura, spesso citata a torto come ultima spiaggia, e che invece può restituire la dignità alle persone”.