È una sensazione che proviamo tutti abbastanza di frequente, almeno si spera. Eppure probabilmente pochi saprebbero definirla con esattezza: cos’è il piacere? In che modo la sua ricerca coinvolge direttamente la nostra vita e la nostra felicità, sconfinando talvolta in ossessioni e manie? Lo ha spiegato a Wired.it David Linden, neurofisiologo statunitense, docente alla John Hopkins University di Baltimore e autore del saggio The compass of pleasure (La bussola del piacere, edito in Italia da Codice Edizioni, di cui vi avevamo parlato).
Cominciamo dalla domanda più difficile. Cos’è il piacere? A cosa ci riferiamo quando usiamo questa parola?
“Dal punto di vista della biologia, si tratta di un fenomeno molto particolare. Ci sono alcuni comportamenti e alcune sostanze che attivano un gruppo di neuroni nel cervello, in un’area detta medial forebrain pleasure circuit (Mfpc). È una regione interconnessa, che comprende strutture come l’ area ventrale tegmentale e il nucleus accumbens, criticamente dipendenti da un neurotrasmettitore, la dopamina. Supponiamo di essere molto affamati e che qualcuno ci porti da mangiare. Se al primo boccone ci sottoponessimo alla scansione del nostro cervello, vedremmo una forte attivazione del Mfpc. Continuando a mangiare, probabilmente, ci renderemmo conto che l’ultimo boccone, per quanto buono, non avrà mai lo stesso gusto del primo: il grado di attivazione del Mfpc decresce nel tempo, e tiene traccia della percezione soggettiva del piacere. Il Mfpc, allo stesso modo, si attiverebbe molto se ci portassero la nostra pietanza preferita, e un po’ meno se non fossimo molto affamati, e addirittura per niente se il cibo non dovesse piacerci. In ogni caso, alimentazione a parte, il Mfpc è attivato in tutte le diverse esperienze di piacere. Durante l’orgasmo, per esempio, senza alcuna differenza tra uomini e donne, gay ed eterosessuali, l’attivazione è uguale per tutti. Oppure dopo l’assunzione di alcool o nicotina: si possono predire con esattezza le droghe che comporteranno assuefazione guardando cosa accade al Mfbc. Le sostanze che non attivano quest’area, come l’Lsd o la mescalina, non danno assuefazione; tutte le altre sì”.
E perché siamo così attratti dal piacere?
“Il piacere ha radici evoluzionistiche molto profonde. Non lo provano solo gli esseri umani o i primati: è molto più antico di noi. Esistono circuiti del piacere nei serpenti, nelle lucertole, e addirittura in animali privi di cervello, come i piccoli vermi che vivono nella terra. Quando questi animali mangiano un certo tipo di batteri, si attivano i meccanismi di rilascio della dopamina: è un tipo molto rudimentale di piacere. Lo stimolo del piacere esiste per incentivarci a mangiare, a bere e ad accoppiarci, cioè in sostanza a sopravvivere.
“La cosa interessante è che, con l’evoluzione, abbiamo inventato meccanismi artificiali per innescare il piacere; ma, anche in questo caso, non siamo gli unici. In Etiopia vivono animali che mangiano bacche di caffè, perché hanno imparato che la caffeina provoca loro sensazioni piacevoli; altre specie si cibano di frutta fermentata, per ricavarne alcool, o di cannabis. E poi c’è l’attività fisica: durante un allenamento intensivo, il corpo produce molecole simili a quelle della cannabis, gli endocannabinoidi, che a loro volta attivano la produzione di dopamina nei circuiti del piacere”.
Ma la ricerca del piacere condiziona le nostre relazioni sociali. In che modo?
“Il riconoscimento sociale di ciascuno di noi ha un’azione particolarmente forte nell’attivazione dei circuiti del piacere. Uno dei motori più forti è naturalmente il denaro: eppure, anche in questo caso, le cose non sono semplici come ci si aspetterebbe. Supponiamo di giocare alla roulette con un amico: se noi vinciamo 10 euro e il nostro compagno resta a secco, siamo molto contenti. Se vinciamo entrambi 10 euro, siamo un po’ meno felici; se noi ne vinciamo 10 e il nostro amico 100, la sensazione che proveremo sarà probabilmente quasi sgradevole. Questo avviene perché il piacere non può prescindere dal nostro altissimo livello di connessione sociale: in barba al decimo comandamento, continueremo sempre a desiderare la roba d’altri e a provare piacere sapendo di possedere più del nostro vicino.
“C’è però un’altra considerazione da fare in proposito: con l’evoluzione, il nostro cervello si è ingrandito progressivamente, in particolare nella parte frontale, responsabile del ragionamento e dei processi cognitivi e sociali. Si sono formate sempre più connessioni tra questa regione e il Mfbc: ciò implica che riusciamo a provare piacere anche da comportamenti e situazioni che non hanno alcun valore evoluzionistico. A differenza di un topo, che ricerca il piacere solo nel cibo e nell’accoppiamento, solo un essere umano può essere gratificato dal digiuno o dalla castità, se le sue convinzioni culturali o religiose glielo suggeriscono. È per questo che le culture umane sono così ricche e variate”.
Quando e perché la ricerca del piacere può diventare un’ossessione?
“Su questo punto la scienza non sa ancora moltissimo. Quello che sappiamo è che il 40% delle cause che porta una persona a diventare assuefatta o ossessionata è genetico. Abbiamo identificato un recettore di dopamina, chiamato D2: i soggetti con una mutazione nel D2 hanno probabilità più alta rispetto agli altri di diventare assuefatti. Si potrebbe obiettare: perché il D2 non è scomparso con l’evoluzione? Il motivo è semplice: una variante genetica che ci porta ad essere più ossessivi, più curiosi, ad accettare più facilmente il rischio, potrebbe rivelarsi vincente per il successo e l’affermazione.
“Pensiamo ai moderni eroi dell’imprenditoria: Steve Jobs, per esempio, era una persona curiosa, propensa al rischio, e senza dubbio ossessiva. E ha costruito l’impero economico che tutti conosciamo. Ciò detto, non sappiamo molto del restante 60% delle cause. Sicuramente un grande ruolo è giocato dallo stress. A livello biologico, quando l’ormone dello stress finisce nel sangue e quindi nel cervello, provoca dei cambiamenti biochimici ed elettrici che ci fanno provare astinenza dalle sensazioni di piacere”.