L’Universo non cessa di stupire. Dopo la pulsar superveloce, stavolta tocca alle supernovae, le esplosioni altamente energetiche che costituiscono lo stadio finale dell’evoluzione delle stelle massicce. Che oggetti di questo tipo fossero parecchio luminosi era cosa già nota alla comunità scientifica (a volte arrivano addirittura a eguagliare la luminosità della galassia che le ospita); eppure la scoperta degli scienziati della Swinburne University of Technology, pubblicata su Nature, ha sbaragliato tutti i record precedenti. I ricercatori, coordinati da Jeff Cooke, hanno infatti osservato due supernovae superluminose nel lontano Universo, che brillano fino a 100 volte in più rispetto alle loro “colleghe” finora conosciute.
Eventi di questo tipo, sostengono gli scienziati, sono stati osservati solo pochi anni fa, e sono estremamente rari nel vicino Universo. La loro origine non è stata ancora completamente compresa: l’ipotesi più accreditata prevede che compaiano quando stelle estremamente massicce subiscono un’esplosione nucleare innescata dalla conversione di fotoni in coppie elettrone-positrone. Fenomeni simili erano abbastanza comuni nelle prime fasi di vita dell’Universo: è per questo che i ricercatori hanno cercato le supernovae superluminose per valori di redshift (la grandezza cosmologica che descrive lo spostamento in frequenza di un’onda dovuto all’espansione dell’Universo) maggiori di 2. È come se avessero osservato ciò che è accaduto quando il cosmo aveva circa un quarto degli anni che ha adesso. Stando alla loro scoperta, l’ipotesi sembrerebbe essere confermata.
Studiare oggetti di questo tipo è molto interessante per gli astrofisici, perché consente di ottenere informazioni utili sulle “stelle di prima generazione”, quelle nate subito dopo il Big Bang: la scoperta potrà aiutare a comprendere cosa è avvenuto nelle prime fasi dell’evoluzione del cosmo.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature11521
Credits immagine: Adrian Malec e Marie Martig (Swinburne University)