È l’ennesima vittoria dei pazienti sui divieti, veri o presunti, imposti dalla legge 40 che dal 2004 norma la procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia. Con questa sentenza, emessa dal tribunale di Cagliari, il computo delle decisioni prese a seguito di cause intentate da pazienti sterili o che rischiano di trasmettere ai propri figli gravi malattie, sale a 19. In particolare questa volta i giudici hanno ordinato al laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di Cagliari di eseguire l’ indagine diagnostica preimpianto sugli embrioni di una coppia sterile in cui lei è affetta da talassemia e lui ne è portatore sano. In quanto infertili, la legge 40 dà loro accesso alla Pma e quindi anche alla diagnosi preimpianto per verificare prima del trasferimento in utero se l’embrione è affetto dalla patologia dei genitori. Tuttavia il laboratorio di citogenetica della struttura pubblica che deve analizzare il campione si rifiutava di analizzare le cellule. Da qui nasce l’azione legale per interruzione di servizio sanitario. Che ha portato alla sentenza resa pubblica ieri.
E se la coppia non fosse stata sterile, ma solo affetta da una patologia ereditaria? “ Non avrebbe potuto ricorrere alla Pma, né alla diagnosi pre impianto, e quindi non avrebbero potuto far valere quello che loro sentono come un diritto, quello di non trasmettere al loro figlio la malattia che li affligge”, spiega Filomena Gallo, uno degli avvocati che ha seguito la causa e segretario dell’ Associazione Luca Coscioni. A meno che le nuove linee guida, attese ormai da più di un anno, non estendano alle persone affette da malattie genetiche e cromosomiche il concetto di infertilità. Così come era successo nel 2008, quando il ministro Livia Turco emanò delle linee guida in cui si allargava l’accesso alla Pma agli uomini fertili Hiv positivi.
L’importanza delle linee guida
Per capire quanto possa essere decisivo il testo delle linee guida basta guardare proprio alla sentenza di Cagliari. Con le linee guida del 2004 la coppia non avrebbe potuto chiedere il test genetico preimpianto perché l’unica indagine ammessa in quel momento era quella osservazionale: i ginecologi, cioè, dovevano guardare gli embrioni e sulla base delle loro caratteristiche visibili decidere quali trasferire. È evidente che in questo modo non si possono individuare mutazioni genetiche. Ma nel 2008 Livia Turco emanò nuove linee guida che eliminavano questa limitazione. Ecco perché la coppia ha potuto fare ricorso e il tribunale ha potuto condannare chi si rifiutava di eseguire il test.
“ La revisione del documento che stabilisce come vada applicata la legge dovrebbe essere fatta almeno ogni tre anni e anche in base agli avanzamenti delle tecniche”, spiega ancora Gallo. L’ex sottosegretario Eugenia Roccella aveva provato a far passare quelle elaborate dal ministero della Salute prima delle dimissione del governo Berlusconi, ma il Consiglio superiore della sanità aveva dato parere negativo. Il ministro Renato Balduzzi ha sul tavolo questa questione da quando si è insediato, ma ancora non sembra aver preso la situazione in mano.
Cosa potrebbe cambiare
“ Oltre a poter allargare l’accesso alla Pma anche a chi non è sterile, la revisione della linee guida potrebbe riconoscere il carattere di malattia dell’infertilità”, sottolinea Gallo. Un passo importante per cui successivamente si potrebbero far entrare le prestazioni di Pma fra i livelli essenziali di assistenza. “ C’è poi la questione dell’aggiornamento del consenso informato che i pazienti devono firmare prima di eseguire i trattamenti: i moduli non tengono conto delle sentenze che si sono succedute e che hanno cambiato la legge”, va avanti l’avvocato.
Si potrebbe finalmente decidere che fine devono fare gli embrioni soprannumerari, quelli cioè che sono stati congelati ma non utilizzati, stimati a oggi in circa 3.800. “ Il ministro Sirchia aveva stabilito il loro trasporto presso una biobanca istituita a Milano, ma ciò non è mai avvenuto. Nel frattempo molte coppie sensibilizzate dalle associazioni di pazienti hanno deciso di donarli alla ricerca, ma tutto è bloccato”, dice l’avvocato.
Infine, il nuovo documento potrebbe e dovrebbe fare chiarezza sui fondi che la legge mette a disposizione delle Regioni per la ricerca sulla Pma e per il miglioramento delle strutture pubbliche che la eseguono. “ Dalle relazioni ministeriali sappiamo che ci sono Regioni, come il Lazio, che non hanno rendicontato questi soldi. Che fine hanno fatto? Sempre la Regione Lazio non ha mai fatto i controlli nei centri presenti sul territorio e quindi non ha mai dato le autorizzazioni”, conclude Gallo: “ Una questione non banale, soprattutto perché è già stata annunciata una diminuzione dei fondi. Ma prima di tagliare bisognerebbe sapere chi fa cosa con questi soldi, per colpire davvero gli sprechi”. Insomma, le nuove linee guida, sarebbero davvero necessarie. Quanto ancora bisognerà aspettare?
Via: Wired.it
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