Anche Albert Einstein, ogni tanto, sbaglia. La sua teoria della relatività, a un secolo di distanza dalla formulazione, continua a incassare verifiche e conferme sperimentali, ma non si può dire lo stesso sulle sue previsioni sulla meccanica quantistica, eterno cruccio dello scienziato di Ulm, la teoria che a tutt’oggi ancora non riesce a conciliarsi con la relatività. In particolare, Einstein non poteva digerire il cosiddetto fenomeno dell’entaglement (una traduzione italiana è praticamente impossibile), che prevede che due o più particelle siano intrinsecamente collegate in modo tale che le azioni o misure eseguite su una di esse abbiano effetto istantaneo sulle altre. Bene, gli scienziati del Centre for Quantum Dynamics alla Griffith University sono riusciti, per la prima volta al mondo, a dimostrare sperimentalmente, misurandolo, l’entanglement quantistico di un singolo fotone, dopo che questo si è diviso in due particelle. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature Communication.
Per capire qualcosa in più è necessario fare un piccolo passo indietro. Nel mondo subatomico, regolato dalle leggi della meccanica quantistica, una particella può essere in due diverse condizioni, o stati, nello stesso tempo. Per esempio, semplificando un po’, una particella può ruotare in una direzione o nell’altra (in su o in giù, il cosiddetto spin), ma anche in entrambe le direzioni contemporaneamente. Questo doppio stato, detto anche sovrapposizione quantistica, permane finché non si misura lo spin, momento in cui esso collassa su uno solo dei due stati. A complicare le cose c’è poi, per l’appunto, l’entanglement: due particelle possono essere intrinsecamente collegate in modo tale che entrambi abbiano la stessa sovrapposizione di stati allo stesso tempo. Se si esegue una misura sulla prima particella, provocandone il collasso, per esempio, nello stato di spin su, la seconda collasserà istantaneamente nello stato di spin giù. Anche se è molto distante.
Tutto questo può succedere anche con una singola particella. Un fotone, per esempio, può essere diviso in due particelle ancora connesse (in senso quantistico) tra loro. La funzione d’onda, l’equazione matematica che descrive lo stato della particella, si estende su distanze grandissime, ma la particella stessa, in sé, non si trova mai in alcuna posizione – o meglio, si trova in tutte le posizioni con diverse probabilità: nel momento in cui viene rilevata da uno strumento, lo stato collassa, come vi abbiamo spiegato prima. Il fenomeno è stato per l’appunto descritto nel 1935 da Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen in un articolo dal titolo La descrizione quantomeccanica della realtà fisica si può considerare completa? ed è passato alla storia con il nome di paradosso Epr. La conclusione del lavoro era piuttosto apodittica: l’entanglement quantistico di singola particella è impossibile.
L’équipe della Griffith University, a quanto pare, ha appena mostrato il contrario. Usando dei rivelatori particolari – strumenti in grado di misurare le proprietà delle onde – gli scienziati, coordinati da Howard Wiseman, sono riusciti, in effetti, a osservare il collasso della funzione d’onda da entanglement di un singolo fotone. In particolare, i ricercatori hanno diviso un singolo fotone in due particelle diverse, dirottate verso due laboratori distanti tra loro, per verificare se le misure effettuate su una di esse si ripercuotessero in un cambiamento immediato nello stato quantistico dell’altra.
“Einstein non ha mai accettato la meccanica quantistica ortodossa, e la sua critica più importante riguardava l’entanglement di singola particella”, spiega Wiseman. “Per questo consideriamo così importante dimostrare il collasso non locale della funzione d’onda con una singola particella”. Nella visione di Einstein, invece, ogni particella si trova sempre in un unico punto e il collasso istantaneo della funzione d’onda in tutte le altre posizioni è fisicamente impossibile. “Noi non abbiamo misurato solo la presenza o l’assenza della particella”, prosegue Wiseman. “Siamo andati oltre: i nostri strumenti consentivano di misurare diverse grandezze simultaneamente per verificare il fenomeno. E abbiamo effettivamente osservato il collasso della funzione d’onda in sei modi diversi, il che prova la sua esistenza e mostra che Einstein si sbagliava”.
Il meccanismo, come avrete capito, è comunque piuttosto complesso. E la questione del collasso della funzione d’onda (addirittura di cosa sia una funzione d’onda) e dei fenomeni di località e non località in meccanica quantistica è ancora oggetto, nella comunità scientifica, di un dibattito piuttosto aperto.
Parlare di posizione di una particella, per esempio, potrebbe essere leggermente fuorviante: il mondo della meccanica quantistica, infatti, è regolato dalle leggi matematiche della probabilità. Lo stesso dicasi per il concetto di traiettoria: a differenza di un pallone, un elettrone non segue alcuna traiettoria, ma è descritto da una funzione matematica che ne stabilisce la probabilità. In questo senso, in maniera ancora più astratta – e volendo passare da una visione semplificata a un approccio più rigoroso –, l’entanglement andrebbe inteso, più che come un’azione a distanza, come un insieme molto particolare di probabilità di esiti di misure su particelle quantistiche, dipendente da come un dato esperimento viene preparato. Per quanto possa suonare complicato, sembra sia così che va il mondo.
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Via: Wired.it
Quando si parla di “azione a distanza” siamo proprio sicuri che le particelle distanti nelle nostre abituali tre dimensioni spaziali (più quella temporale) non siano legate da “un cordone ombelicale” che passa in un altra dimensione?