Nel 1811, la Grande Cometa brillò nei cieli europei per oltre duecento giorni. Tra chi poté ammirarla c’era Giacomo Leopardi, allora poco più che un bambino. Due anni dopo, a quindici anni, avrebbe scritto della cometa non in una poesia ma nella Storia dell’astronomia, un volume che ripercorre la disciplina dagli albori fino al 1813. Il poeta guarderà spesso al cielo, alla luna e alle stelle, al cosmo. È uno sguardo interrogativo, una domanda cosmica rivolta alla natura. Lo si legge nell’Infinito, di cui ricorrono i 200 anni dalla scrittura, e nel resto del suo pensiero fatto poesia, dove la riflessione sulla natura è centrale. Una riflessione alimentata anche da una vasta cultura scientifica, soprattutto di astronomia, biologia e chimica. Tra i libri di casa sua c’erano, per esempio, La storia naturale di Buffon, i volumi del chimico Lavoisier e naturalmente l’opera omnia di Galileo. “Leopardi – afferma Gaspare Polizzi, storico della filosofia e della scienza che si è occupato della cultura scientifica del poeta – era a tutti gli effetti un filosofo naturale che sapeva occuparsi e discutere sia di filologia che di scienze”.
Tutti più o meno ci ricordiamo del poeta rinchiuso in casa, della natura maligna e del pessimismo cosmico che abbiamo imparato a scuola. Ma la verità è che c’è molto di più: “Per Leopardi, la natura è una continua attività di fiorire e sfiorire e, anche se l’uomo si pensa sempre al di fuori, noi siamo immersi, siamo dentro la natura”, spiega Antonio Prete, critico letterario tra i massimi esperti del poeta. “Per questo il suo pensiero è di straordinaria attualità. La natura per lui è stata incrostata dall’incivilimento. E Leopardi allora scrive: come abitare la natura in un mondo snaturato?”
Leopardi, Galileo e l’astronomia
Il poeta di Recanati era profondamente affascinato dal cielo, forse segnato dall’eclissi solare che aveva ammirato da bambino, nel 1804. Aveva studiato astronomia con i suoi precettori gesuiti, i cui insegnamenti davano molta importanza allo studio delle stelle e dei pianeti. Uno studio che il poeta raccoglie nella Dissertazione sopra l’astronomia, praticamente la sua prova d’esame del corso di studi. Ma soprattutto con la Storia dell’astronomia: “ È un’opera straordinaria: il libro ripercorre tutto il sapere astronomico, con le più recenti scoperte dell’epoca”, racconta lo storico Polizzi. L’opera fu pubblicata nel 1888, cinquant’anni dopo la morte del poeta. “Ma Leopardi l’aveva scrtitta a soli 15 anni e nonostante ciò è considerata tra le dieci storie della materia più complete dell’Ottocento”.
Il poeta e filosofo conosce per esempio molto bene i moti lunari e tra gli astronomi apprezza molto, ovviamente, Galileo, anche se il padre Monaldo è uno strenuo difensore del modello geocentrico. Forse per questo, Leopardi non citerà per esempio mai pubblicamente il processo di Galileo. Ma nell’antologia di brani della letteratura che Leopardi seleziona (La crestomazia italiana del 1827) ci sono ben 16 brani tratti dalle opere dello scienziato pisano. “E poi, – aggiunge Polizzi – come leggiamo nello Zibaldone e nella Storia dell’astronomia, Leopardi dava grande importanza al ruolo del telescopio nelle scoperte di Galileo, nell’elaborare le combinazioni di idee. Aveva, insomma, compreso bene il legame tra osservazione e teoria”.
Il poeta del cielo
Il sapere astronomico di Leopardi diventa spesso materia della sua poesia. E tra tutte le immagini del cielo, quella che domina è la luna, come spiega il critico Antonio Prete: “È il corpo celeste più presente, perché è anche quello più vicino a noi. Con la sua luce vela e rivela le cose, sollecita il ricordo”. La luna per esempio è quella a cui rivolgono le proprie domande esistenziali i protagonisti del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e nella poesia che proprio si chiama Alla luna. Ma non c’è solo la luna: c’è anche l’elemento stellare. “Vaghe stelle dell’Orsa”, così comincia Le ricordanze.
Ma anche nella Ginestra, c’è un pezzo in cui Leopardi parla del cielo notturno e contempla la lontananza estrema di stelle e galassie. “Ci sono le stelle fiammeggianti e la terra appare come un punto insignificante, perso. Il centro cade. Leopardi quando guarda l’Universo tenta una sorta di dislocamento, un allontanamento dalla Terra. Non sta guardando il cielo da un osservatorio astronomico ma è come se fosse su una sonda persa nel cosmo”, spiega Prete. Come nel Cantico del gallo silvestre che si chiude con l’immagine vasta dell’universo che si svuota e si spegne.
Il disfacimento e il vivente
Questa visione della natura come dissoluzione e ricomposizione arriva però dalla chimica. “Leopardi leggeva Lavoisier e all’epoca era uno dei pochi in Italia a comprenderne il valore”, spiega Polizzi. Secondo lo storico, la cultura chimica segna la riflessione filosofica di Leopardi: tutto è materia, costituita da elementi eterni e indivisibili. “E questo lo si legge soprattutto nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampasco, dove per esempio scrive “Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno di questa nuove creature”. E assieme, l’altro grande interesse scientifico del poeta è verso la biologia, le scienze naturali: “Leopardi – spiega il critico letterario – ha una grande attenzione per il vivente e per le specie animali. Sappiamo che leggeva attentamente il naturalista Buffon”.
Diverse sono infatti le immagini di piante e animali che popolano le sue poesie. Una passione che nasce con il piccolo Leopardi e che emerge già dalle prime poesie puerili: c’è persino un frammento dei Ricordi d’infanzia e d’adolescenza in cui il poeta racconta di aver sofferto perché un ragazzo uccise una lucciola con crudeltà davanti a lui.
Ma nella galleria vivente della sua poesia sono soprattutto gli uccelli gli animali prediletti, per il loro volo e il loro canto, esempio di leggerezza, come nell’Elogio degli uccelli. “Leopardi”, racconta Prete, “dice che l’uomo ha la coscienza del dolore ma che anche l’animale ha una sua forma di sapere e scrive persino che possiede il “principio del linguaggio”. Un pensiero che a detta dello storico Polizzi è un pensiero contro l’antropocentrismo. Leopardi non considera l’uomo radicalmente diverso. “E infatti” ripete Polizzi “Leopardi in un punto scrive: l’uomo e gli altri animali“.
Leopardi e la natura
Questa galleria di immagini naturali, di cosmologie e di saperi scientifici, diventa così poesia e pensiero assieme che raccontano il conflitto della natura, della sua trasformazione continua, e il limite del conoscibile. “L’universo produce fuoco e si ricrea”, descrive Prete, “E l’uomo pensa di esserne escluso. Ma siamo tutti dentro questa natura: questo è il pensiero profondo sulla natura di Leopardi. La ginestra rappresenta questa consapevolezza: è il fiore che accetta la sua condizione di fiorire e morire”. Un po’ diverso da alcuni stereotipi a cui ci siamo abituati quando pensiamo a Leopardi. “I manuali”, critica Prete, “hanno privilegiato a lungo l’idea che in Leopardi ci sia un momento in cui la natura diventa matrigna. Ma lui ha sempre considerato la natura nella sua complessità. Dobbiamo leggere Leopardi con innocenza, liberandoci dagli schemi”.
Crediti immagine: “L’attrappe-lune”, Jean-Baptiste Feldmann – Cielmania