Fra i 10 e i 15 anni: è questo l’intervallo di età in cui compare il primo ciclo mestruale (almeno nella maggior parte delle ragazze europee). E il meccanismo che regola questa “sveglia” è molto più complicato di quanto non si immaginasse finora. Sono più di 100, infatti, i geni coinvolti nel controllo di questo fenomeno, e alcuni sono sottoposti a “imprinting genomico”, cioè hanno un effetto diverso a seconda che siano ereditati dal padre o dalla madre.
A dimostrarlo è uno studio pubblicato questa settimana su Nature. La ricerca, coordinata dall’Università di Cambridge, ha preso in considerazione più di 180 mila donne e ha coinvolto scienziati di tutto il mondo, fra cui ricercatori italiani dell’Istituto Burlo Garofolo di Trieste e dell’Ifom (l’Istituto di oncologia molecolare di Milano della Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro).
Per l’esattezza sono 106 i geni e 123 le varianti genetiche (cioè le forme alternative di un gene) che influenzano l’età del primo flusso mestruale: 29 di queste controllano la produzione di ormoni da parte dell’ipotalamo e dell’ipofisi, e sei sono associate a regioni del genoma sottoposte a imprinting.
I geni soggetti a imprinting sfuggono alle leggi di Mendel perché sono regolati in modo diverso, cioè possono essere “accesi” (attivati) o “spenti” (silenziati) a seconda che il portatore sia un maschio oppure una femmina. Questa regolazione agisce nel momento della formazione delle cellule riproduttive e si mantiene dopo la fecondazione: di conseguenza, nei figli, alcuni geni sono attivi solo se provengono dalla madre, altri solo se provengono dal padre (leggi anche “Comincia l’era dell’imprinting genomico”). “Ciò significa che uno dei genitori più influenzare l’età di sviluppo della figlia molto più dell’altro”, dice John Perry, primo autore dello studio.
Si tratta di un meccanismo epigenetico, cioè che non altera la sequenza di basi del Dna, ma ne modifica l’espressione. Gli scienziati sapevano già che questo meccanismo si attiva durante lo sviluppo embrionale, e per la prima volta questo studio ha dimostrato la sua attivazione anche dopo la nascita.
Oltre che da numerosi geni (che secondo Perry potrebbero essere molti di più dei 106 identificati, forse migliaia, come ha dichiarato alla Bbc), l’età del menarca è anche influenzata da fattori ambientali come l’attività fisica e l’alimentazione. Le ricerche in questo campo aiutano a fare luce su una tappa fondamentale dello sviluppo femminile, ma aprono anche nuove possibilità per la prevenzione di importanti malattie. Un menarca precoce, infatti, è statisticamente correlato a un maggiore rischio di obesità, diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari e cancro al seno, ma il meccanismo che giustifica la correlazione non è ancora stato chiarito.
Riferimento: doi:10.1038/nature13545
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