L’etichettatura

Nelle società evolute, a elevato livello di reddito, si è ormai da tempo imposto un modello alimentare di sazietà generalizzata [1, 3-7] per il quale i bisogni alimentari di base sono in genere soddisfatti e le disponibilità nutritive superano le necessità fisiologiche della popolazione, tanto da determinare fenomeni diffusi di sovralimentazione.

Il modello alimentare tradizionale è un sistema relativamente semplice in cui predomina l’autoconsumo. Le diete si differenziano in funzione del livello dei redditi. L’azienda agricola e la famiglia, nella maggior parte dei casi, sono riconducibili a un unicum costituito dall’impresa familiare. In questo contesto, la prossimità tra produttore e consumatore è elemento cardine della fiducia nel processo produttivo e nella qualità dell’alimento, che risulta fortemente radicato al territorio e ai ritmi stagionali. Il modello alimentare della sazietà, sviluppato nei paesi occidentali intorno agli anni Ottanta. Si presenta come un sistema molto complesso dove il ruolo dell’agricoltura è ridimensionato a vantaggio delle industrie di trasformazione e distribuzione. Si assiste progressivamente all’affermazione di stili di consumo transnazionali dove le variabili economico-sociali acquisiscono una rilevanza fondamentale rispetto al livello di reddito [2]. I sistemi alimentari sono svincolati dalla località e dalla stagionalità determinando una separazione progressiva dell’agricoltura dalla natura e del consumatore dalla familiarità dei luoghi di produzione e delle tecniche di trasformazione. La catena alimentare diviene talmente frammentata e sofisticata da impedire al consumatore di compiere individualmente qualsiasi tipo di controllo.

Nasce quindi l’esigenza di dotarsi di un insieme di regole che sostituiscano, in qualche modo, la verifica diretta della qualità degli alimenti, fornendo strumenti capaci di sintetizzare e rendere comprensibili informazioni molto complesse e diverse tra loro. In uno scenario così delineato l’etichetta rappresenta uno strumento fondamentale per il consumatore in quanto consente di attribuire un’identità all’alimento, costituendo una prima base per un’eventuale scelta di acquisto. Inoltre, essa diviene per gli stessi motivi elemento di differenziazione per le imprese alimentari che la utilizzano anche per veicolare strategie di marketing e di penetrazione del mercato. Di seguito, tentiamo di fornire un quadro il più possibile esaustivo della normativa in materia di etichettatura alimentare sugli OGM ponendo l’accento sulle problematiche di maggiore interesse sia dal punto di vista giuridico, che socio-economico.

La Direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo sull’emissione deliberata nell’ambiente degli organismi geneticamente modificati, del 12 marzo 2001, che ha abrogato la precedente Direttiva 90/220/CE, obbliga gli Stati membri ad adottare misure per garantire la tracciabilità e l’etichettatura degli OGM. Il quadro normativo  europeo è stato successivamente armonizzato dai regolamenti CE 1829/2003 e 1830/2003, entrambi del 22 settembre 2003, introdotti per rendere più efficace il funzionamento interno del mercato. Tali regolamenti, nello specifico, dettano la disciplina in materia di etichettatura (requisiti, misure di attuazione) e sono entrati in vigore il 18 aprile 2004. Con questi ultimi due regolamenti, l’UE ha fatto chiarezza su quello che devono riportare le etichette apposte sugli alimenti riguardo agli OGM. Tra i prodotti soggetti alla normativa ci sono:
gli alimenti geneticamente modificati destinati in quanto tali al consumatore finale o ai fornitori di alimenti per la collettività nella comunità, ossia alimenti che contengono o sono costituiti da organismi geneticamente modificati o sono prodotti a partire da o contengono ingredienti prodotti a partire da organismi geneticamente modificati (art. 12 ss., Reg. CE n. 1829/2003); i mangimi geneticamente modificati, ossia che contengono o sono costituiti da OGM, o sono prodotti a partire da organismi geneticamente modificati (art. 24 ss., Reg. CE n. 1829/2003); i prodotti contenenti OGM, o da essi costituiti (art. 4, Reg. CE n. 1830/2003); gli additivi e gli aromi, per l’impiego in alimenti e mangimi (Cons. 12 e 13, Reg. CE n. 1829/2003).

L’effetto pratico dell’intero quadro normativo è quello di rendere obbligatoria la segnalazione al momento dell’acquisto o del consumo della presenza di OGM negli alimenti e nei mangimi . Così, per esempio, una scatoletta di mais dolce da insalata, se prodotto da piante di mais GM, dovrà recare ben evidente in etichetta questa provenienza, anche se il mais OGM è solo una parte dell’alimento: un’insalata pronta costituita da diversi ingredienti, uno dei quali è mais GM, deve riportare in etichetta la presenza di un prodotto GM. Questo vale anche per tutti quegli alimenti che subiscono una trasformazione industriale prima di essere venduti al pubblico. Per  esempio, su una confezione di salsa di soia derivata da piante GM deve obbligatoriamente comparire in etichetta la dicitura «Prodotta a partire da soia GM». Il quadro normativo prende in considerazione anche gli additivi e gli aromi, ossia quelle sostanze che vengono  aggiunte, generalmente in piccolissime quantità, durante la  trasformazione industriale e che diventano parte stessa dell’alimento. Ancora un esempio: una merendina che contenga lecitina di soia (un additivo comunemente utilizzato nell’industria  alimentare) prodotta da piante di soia GM, deve obbligatoriamente riportarlo in etichetta.

Sono invece esclusi dall’applicazione dei regolamenti citati e pertanto  derogano all’obbligo di etichettatura ai sensi dell’art. 21 Direttiva 2001/18/CE: gli alimenti che contengono materiale che contiene, è costituito o prodotto a partire da OGM in proporzione non superiore allo 0,9 per cento degli ingredienti alimentari considerati individualmente o degli alimenti costituiti da un unico ingrediente, purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile (art. 12, Reg. CE n. 1829/2003); i mangimi che contengono materiali che a loro volta contengono, sono costituiti o sono prodotti a partire da OGM in proporzione non superiore allo 0,9 per cento per mangime e per ciascun mangime di cui esso è composto, purché tale presenza  sia accidentale o tecnicamente inevitabile (art. 24, Reg. CE n.1829/2003). La soglia dello 0,9 per cento riferita alla quantità dei singoli ingredienti garantisce il consumatore da fenomeni di accumulo qualora siano presenti diversi ingredienti OGM.

In materia di OGM, l’etichettatura costituisce una delle fasi del più ampio procedimento di valutazione della sicurezza alimentare attuato dalla Comunità Europea a seguito delle preoccupazioni insorte a livello scientifico circa la presunta nocività degli OGM per la salute dei cittadini e degli animali, e per l’ambiente. Attraverso l’etichettatura si intende tutelare il diritto dei consumatori all’informazione, diritto sancito all’art. 153 del Trattato della Comunità Europea. Affinché il sistema di etichettatura sia efficace, ovvero sia in grado di fornire all’utente finale del prodotto (alimento o mangime) informazioni veritiere relative a qualsiasi modificazione genetica avvenuta nella catena di produzione o di distribuzione, occorre che tali informazioni siano disponibili a ogni stadio della filiera produttiva. Conseguentemente, presupposto dell’etichettatura è il buon funzionamento del sistema di tracciabilità, ovvero della capacità di rintracciare gli OGM o i prodotti derivati in tutte le fasi dell’immissione in commercio (art. 3, par. 3, reg. n. 1830/2003). I regolamenti CE nn. 1829 e 1830 del 2003 stabiliscono che le regole sulla tracciabilità dei prodotti contenenti OGM o da essi costituiti e degli alimenti e mangimi ottenuti da OGM hanno proprio lo «scopo di facilitare un’adeguata etichettatura». La tracciabilità e l’etichettatura sono quindi procedimenti funzionalmente e inscindibilmente collegati tra loro, in applicazione del principio di precauzione fondante la normativa generale europea in materia di sicurezza alimentare.

In via transitoria, l’art. 47 del reg. CE n. 1829/2003 prevede che per il periodo di tre anni dalla data di applicazione del regolamento la  soglia di tolleranza possa ridursi allo 0,5 per cento. La legge impone quindi un limite più basso per la presenza accidentale di OGM non  ancora approvati, ma in corso di esame, cioè nel caso in cui: il materiale geneticamente modificato già sia stato oggetto di una  valutazione favorevole da parte degli organismi scientifici competenti o dell’Autorità; la domanda di autorizzazione non sia stata respinta;  i metodi di rilevazione siano resi pubblici. Le soglie di tolleranza reviste in via transitoria (0,5 per cento) e in via definitiva (0,9 per cento) possono, infine, ulteriormente ridursi nel caso di: organismi geneticamente modificati venduti direttamente al consumatore finale (soglia transitoria, art. 47); nel caso di alimenti che contengono o sono costituiti a partire da organismi geneticamente modificati o al fine di tenere conto dei progressi scientifici e tecnologici (soglia definitiva, artt. 12 e 24). La riduzione della soglia di tolleranza è adottata dalla Commissione Europea seguendo la procedura prevista dagli artt. 5 e 7 della Decisione 1999/468/CE, per rinvio dell’art. 35, par. 2 del Reg. CE n. 1829/CE.

L’art. 13, par. 1, lett. a) del Reg. CE 1829/2003 prevede che la denominazione «geneticamente modificato» deve apparire sull’etichetta «immediatamente dopo l’ingrediente in questione» e quindi con riferimento all’ingrediente individualmente considerato. Analogo discorso va fatto per i mangimi. Secondo l’art. 24, par. 1 del Reg. CE n. 1829/03 la soglia di tolleranza pari allo 0,9% va calcolata «per mangime e per ciascun mangime da cui esso è composto». Questa articolo impedisce ai produttori di inserire la dicitura  «Contiene OGM» in parti nascoste dell’etichetta, con caratteri piccoli che possono sfuggire all’attenzione del consumatore.

L’art. 13 del Reg. CE n. 1829/2003 detta una serie di requisiti che devono essere osservati affinché si perfezioni la procedura di etichettatura degli alimenti. Le informazioni devono comparire in modo visibile e permanente dove l’alimento è esposto o vicino a esso, oppure sull’imballaggio, nel caso in cui l’alimento sia offerto in vendita al consumatore finale come alimento non preconfezionato o come alimento preconfezionato in piccoli contenitori la cui superficie  maggiore sia inferiore a 10 cm2, ovvero in mancanza di un’etichetta apponibile sulla confezione. Per esempio nel caso di spighe di mais  OGM vendute singolarmente al reparto ortofrutta del supermercato o in mercati rionali, accanto al contenitore che le contiene deve essere
esposta chiaramente l’etichetta «geneticamente modificato». Vi sono inoltre casi in cui anche le caratteristiche o le proprietà specifiche dell’alimento indicate nell’autorizzazione possono essere oggetto di etichettatura obbligatoria: quando un alimento è diverso dalla versione tradizionale per quanto concerne alcune caratteristiche o proprietà (composizione, valore o effetti nutrizionali, uso previsto dell’alimento, implicazione per la salute di certi segmenti della popolazione); quando può dare luogo a preoccupazioni di ordine etico o religioso. Per esempio, qualsiasi alimento che contenga della carne animale deve riportare questa informazione sull’etichetta, per consentire ai consumatori vegetariani di evitare il prodotto. Per i mangimi, le informazioni previste devono comparire su un documento di accompagnamento oppure sulla confezione, sul contenitore o su un’etichetta. I requisiti variano in base al tipo di mangime.

Quanto, infine, ai prodotti, preconfezionati, o non preconfezionati ma offerti al consumatore finale, contenenti organismi geneticamente  modificati o da essi costituiti, l’etichetta deve contenere la dicitura «Questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati» oppure «Questo prodotto contiene [nome dell’organismo] prodotto da [nome dell’ingrediente] geneticamente modificato».

Gli articoli 14 e 26 del Reg. CE n. 1829/2003 prevedono l’adozione d  «misure necessarie perché gli operatori soddisfino i requisiti in materia di etichettatura», stabilendo tuttavia che tale adozione segua  la procedura di cui all’art. 35, par. 2 del medesimo Regolamento, che a sua volta rinvia agli artt. 5 e 7 della decisione 1999/468/CE. I controlli sull’osservanza delle disposizioni previste dal Reg. CE n. 1829/2003, in materia di etichettatura, si ritiene che possono rientrare tra le suddette misure. La procedura prevede che  un rappresentante della Commissione Europea sottoponga a un Comitato di regolamentazione, composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante medesimo della Commissione, un progetto delle misure da adottare e il Comitato esprima un parere. La Commissione adotta le misure previste qualora siano conformi al parere del Comitato. In caso contrario, ovvero se le misure previste non sono conformi al parere del comitato o in assenza di parere, la Commissione sottopone senza indugio al Consiglio dell’Unione Europea una proposta in merito alle misure da prendere e ne informa il Parlamento Europeo. In Italia, il DLGS. 8 luglio 2003, n. 224, attuativo della Direttiva 2001/18/CE, detta disposizioni in materia di controlli, stabilendo all’art. 32 che l’attività di vigilanza sull’osservanza delle prescrizioni in materia di etichettatura è esercitata: dall’Autorità nazionale competente, ovvero dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio (art. 2), dalle Regioni e Province autonome, dagli enti locali.

Lo stesso decreto legislativo configura come mero illecito amministrativo la condotta di chi effettua l’immissione sul mercato di un organismo geneticamente modificato senza osservare le prescrizioni stabilite nel provvedimento di autorizzazione, ivi comprese quelle sull’etichettatura e sull’imballaggio, e lo punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 7.800 a euro 46.500 (art. 35, comma 5).

Bibliografia

[1] BELLETTI G. e MARESCOTTI A., «Le nuove tendenze nei consumi alimentari», in Pietro Berni e Diego Begalli Pietro, I prodotti agroalimentari di qualità:organizzazione del sistema delle imprese, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 133-152.

[2] CONDOR J.M., 1994. «North American as a precursor of changes in Western European food -Purchasing Patterns», European Review of Agricultural Economics, vol. 21, issue 2, 1994, pp. 155-173.

[3] FONTE M., «Food consumption models: market times, tradition times», Int. J. Technology Management, vol. 16, n. 7 1998, pp. 679-688.

[4] MALASSIS L. e PADILLA M., Economie de la consommation e de la production agro-alimentaires, Economie Agro-alimentaire vol. I, Cujas, Paris 1979.

[5] MALASSIS L. e PADILLA M., L’économie mondiale, Economie Agro-alimentaire, vol. III, ed. Cujas, Paris 1989.

[6] PADILLA M., «Le concept de modèle de consommation alimentaire et la théorie de la consommation», Economies et Sociétés, AG n. 21, juin 1992.

[7] PADILLA M. e TALADIDIA THIOMBIANO, «Consumo e domanda alimentare», in L. MALASSIS e GERARD GHERSI, Introduzione
all’economia alimentare, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 17-96.

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